MANTOVA – Quando si era sottoposto a esame davanti al collegio dei giudici aveva scaricato le accuse sulla moglie, dicendo che non era vero che l’aveva maltrattata, e che lei invece era gelosissima e alla fine lo aveva lasciato per mettersi con suo cognato. Una strategia difensiva, quella di E.B., 33enne originario del Burkina Faso, che non ha convinto i giudici del collegio del tribunale di Mantova che ieri lo hanno condannato in primo grado a sette anni e 6 mesi di reclusione per le accuse di violenza sessuale e percosse, reato quest’ultimo riqualificato rispetto a quello originario che era di maltrattamenti. I giudici di via Poma hanno addirittura ritenuto insufficiente la richiesta di condanna fatta dal Pm Paola Reggiani, che aveva chiesto sei anni e mezzo di reclusione, aumentando la pena di 12 mesi. Dal canto suo l’avvocato Enrica Bergamini, che difendeva il 33enne e per il quale aveva chiesto l’assoluzione da entrambi i capi d’imputazione e in subordine il minio della pena per il reato di violenza sessuale, pur attendendo di leggere le motivazioni della sentenza che saranno depositate entro i prossimi 90 giorni, ha di fatto già annunciato l’intenzione di ricorrere in appello. La vicenda risale al 2016, quando la coppia, africano lui, italiana lei, comincia a entrare in crisi. Sarebbe in quel periodo che, secondo quanto sostiene l’accusa, il rapporto fra i due si deteriora al punto che la donna lascia l’abitazione coniugale portando con sé la figlia. «Abbiamo litigato come succede a tutte le copie ma non l’ho mai picchiata né costretta a fare sesso – aveva detto l’imputato in aula -. Lei però a volte faceva delle scenate di gelosia. Una volta ho trovato la casa semi-distrutta». Alla fine lei se n’era andata mettendosi con il cognato del 33enne. Versione dei fatti confermata dalla sorella dell’imputato.