Morì durante il collaudo di un mezzo anfibio, condannati in due

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MANTOVA A processo, per omicidio colposo, erano finiti i vertici della Marconi spa di Curtatone. Il 18 febbraio 2012 un mezzo anfibio di proprietà dell’azienda, sul cui pianale era stato montato un decespugliatore per canne palustri, si era parzialmente inabissato incamerando dalle botole superiori della cabina di guida, rimaste aperte, acqua e ghiaccio. L’acqua, finita all’interno dell’abitacolo, aveva travolto gli occupanti del mezzo. Tra questi Alberto Martello, 40enne di Buscoldo che, a seguito delle ferite riportate era morto poche ore dopo. Imputati Roberto Cesaretti, 73 anni di Roma, consigliere delegato della Marconi, proprietario e costruttore del mezzo anfibio; Stefano Provolo, 58 anni di Volta Mantovana, datore di lavoro delegato, responsabile della produzione e del servizio di prevenzione dello stabilimento. E infine l’ingeg nere Mario Nattero, 62 anni, di Genova, progettista delle modifiche al mezzo anfibio. Si trattava di un’operazione di collaudo programmata, con tutte le autorizzazioni del caso. Il varo di un nuovo mezzo progettato dall’azienda, capace di muoversi tra terra e acqua, tagliare e trinciare le canne palustri e assemblarle. Il luogo scelto per il test era a Soave nella parte dove il Mincio confluisce nel lago Superiore. Il canale d’irrigazione, profondo 3-4 metri, era ricoperto da uno strato di ghiaccio spesso alcuni centimetri. Una volta in immersione il mezzo aveva iniziato a riempirsi di acqua ghiacciata entrata dai boccaporti. Lo scorso 7 marzo la requisitoria del pubblico ministero Carmela Sabatelli: per Cesaretti e Provolo erano stati chiesti 2 anni e 6 mesi ciascuno, assoluzione proposta invece per Nattero. Ieri mattina l’epilogo giudiziario della vicenda con la sentenza di primo grado. Al termine dell’istruttoria dibattimentale il giudice Beatrice Bergamasco ha così condannato Cesaretti e Provolo entrambi ad un anno e otto mesi di carcere – pena sospesa solo per il primo – mandando altresì assolto il solo Nattero per non aver commesso il fatto.