MANTOVA – Orologi di lusso, disponibilità finanziarie e rapporti bancari-assicurativi, 18 imprese-società commerciali in Italia e all’estero, 18 immobili, 7 automezzi e una imbarcazione da diporto. Questo il bilancio del maxi sequestro di beni per un valore di 50 milioni di euro effettuato dalla Dia di Reggio Calabria e dalla Guardia di Finanza agli imprenditori Antonino Scimone, Antonino Mordà e Pietro Canale nell’ambito dell’operazione “Energie pulite”. Tra le numerose società, è stata sottoposta a vincolo la Canale srl, comprensiva di 15 unità locali nella provincia reggina e nelle province di Milano, Brescia, Mantova, Varese, Pavia, La Spezia, Vicenza e Lecce, operante nel settore della metanizzazione, e la Pivem srl, operante nel comparto della grande distribuzione (mediante la gestione di un supermercato nel rione Pellaro di Reggio Calabria). All’operazione hanno partecipato anche i reparti operanti nelle provincie di Milano, Brescia, Mantova, Varese, Pavia, La Spezia, Vicenza, Lecce e Sassari, con il coordinamento della Procura Nazionale Antimafia e della Dda di Reggio Calabria. Nel dettaglio, le indagini hanno consentito di accertare l’esistenza di un articolato sodalizio criminale dedito alla commissione di gravi delitti, con base a Bianco (RC) e proiezioni operative non solo in tutta la provincia reggina, ma anche in altre regioni italiane e persino all’estero, i cui elementi di vertice erano stati identificati in membri delle famiglie Barbaro “I Nigri” di Platì, Nirta “Scalzone” di San Luca ed in Antonio Scimone – principale artefice del meccanismo delle false fatturazioni e vero “regista” delle movimentazioni finanziarie dissimulate dietro apparenti attività commerciali – rinviato a giudizio per svariate ipotesi di reato, tra cui concorso esterno in associazione mafiosa, dirigenza di un’associazione finalizzata al riciclaggio ed al reimpiego, nonché all’intestazione fittizia di beni, all’emissione ed utilizzo di fatture false, funzionali ad agevolare l’attività di infiltrazione occulta negli appalti pubblici della ‘ndrangheta, verso la quale era drenate imponenti risorse. L’organizzazione poteva contare su un gruppo di società di comodo, comunemente definite “cartiere”, che venivano sistematicamente coinvolte in operazioni commerciali inesistenti, caratterizzate dalla formale regolarità attestata da documenti fiscali ed operazioni di pagamento rivelatesi tuttavia, all’esito delle indagini, anch’esse fittizie e che hanno consentito al sodalizio di mascherare innumerevoli trasferimenti di denaro da e verso l’estero, funzionali alla realizzazione di molteplici condotte illecite, quali “in primis” il riciclaggio ed il reimpiego dei relativi proventi.