Ci mancava solo il “fascismo postale”. È l’ultima frontiera dei progressisti di casa nostra. Che hanno trovato un nuovo bersaglio: Sergio Ramelli, lo studente militante del Fronte della Gioventù caduto vittima nel marzo del 1975 dei capibastone di Avanguardia Operaia, che lo aggredirono colpendolo ripetutamente con la chiave inglese fino a sfondargli il cranio e lasciarlo in fin di vita sul selciato, in un lago di sangue. Per quarantasette giorni combatterà tra la vita e la morte, poi dopo quest’agonia lunga e sofferta, il suo cuore si arrese. Aveva 19 anni. Ebbene, succede che il 29 aprile del 2025 uscirà un francobollo di Ramelli in occasione del cinquantesimo anniversario della sua morte, e tra le sedi degli eventi ci sarà anche Mantova. Decisione subito criticata dalla sinistra. Ma se le minacce di un nuovo “caso Ramelli” da parte di Antagonisti non sorprendono più di tanto, a destare clamore è stata l’Anpi, che per voce del presidente Gianfranco Pagliarulo ha mosso varie obiezioni, spiegando che «non è in discussione l’assassinio efferato di Ramelli, bensì la strumentalizzazione della sua morte, un tentativo di ridisegnare gli anni Settanta in un modo che non corrisponde alla realtà. Perciò non ha senso fare un francobollo si Sergio Ramelli, su cui è stato istituito una sorta di culto neofascista». La risposta indiretta arriva da Alessandro Negri, presidente del circolo di Fratelli d’Italia “Sergio Ramelli” di Roncoferraro: «Parole molto gravi e pretestuose. Da ragazzo e militante della desta sociale, la storia di Ramelli mi colpì profondamente e per questo proposi di dedicare a lui il nostro circolo. Il problema è che in Italia c’è gente che ancora oggi tifa per un ritorno agli anni di piombo, e non a caso queste persone, come recentemente successo a Milano, non perdono occasione per infangare la memoria di un giovane che aveva come unica colpa quella di avere un’idea propria e non condizionabile. E chi, me lo si lasci dire, dopo 50 anni continua a torturare un morto, merita solo biasimo».
Matteo Vincenzi