VERONA Per l’inaugurazione della Stagione Sinfonica 2022, Orchestra e Coro areniani proseguono l’omaggio a Beethoven per il suo 250° anniversario, la cui ricorrenza è passata per le principali sinfonie e concerti ∙ Il programma del concerto di venerdì 11 febbraio alle ore 20, in replica sabato 12 alle ore 17, unisce la grazia e il brio della Sinfonia n.2 in Re maggiore al tempestoso romanticismo del Coriolano e incornicia la Rapsodia per contralto, coro maschile e orchestra dell’ideale erede Brahms su versi di Goethe, con Marianna Pizzolato ∙ Sul podio del Teatro Filarmonico debutta anche il giovane newyorkese James Feddeck, già direttore a Chicago e presso le più importanti orchestre d’Europa. L’antica vicenda di Coriolano, generale romano che nel V secolo a.C. si trovò a combattere insieme ai Volsci contro la sua stessa patria, si basa su fonti non concordi che l’hanno tramutato in leggenda. Già noto per una celebre opera di Shakespeare, fu soggetto anche per il poeta viennese Heinrich Joseph von Collin: per la sua tragedia, Ludwig van Beethoven (1770-1827) scrisse nel 1807 un’ouverture senza altre musiche di scena, che racchiude in sé il tormento del protagonista, fra dramma interiore ed eroismo. Sin dai primi celebri accordi di tutta l’orchestra, è riconoscibile l’epica musicale che permea lo stile della fase intermedia del compositore: gli slanci tumultuosi della seconda idea melodica in Mi bemolle maggiore si spengono in una coda originale, cupa ed introversa, conclusa da sospesi pizzicati in pianissimo nell’iniziale do minore. Nella manciata di pagine sinfonico-corali di Johannes Brahms (1833-1897), la Rapsodia per contralto ha un’origine e un messaggio autobiografici fra i più scoperti. Stesa dopo il matrimonio di Julie, figlia di Robert e Clara Schumann, che lo stesso Brahms sembra aver infelicemente desiderato, mette in musica tre delle undici strofe del Viaggio invernale nello Harz di Goethe (1777), ispirato dall’incontro fra il poeta e un giovane e amaramente disilluso Friedrich Plessing. Come in una scena drammatica composta da recitativo e arioso, tra le brume dense dell’orchestra, il contralto solista descrive un paesaggio romantico che rispecchia e moltiplica il dolore e la misantropia di un uomo solo. Quasi inaspettatamente, le nubi del do minore si diradano nel Do maggiore della terza e più ampia sezione, dove il Coro maschile supporta e dialoga con la solista in quella che è una preghiera, collettiva e dolcissima, con cui al “Padre d’amore” viene più volte implorato: “conforta il suo cuore”. Il canto è affidato ad un’interprete d’eccezione al debutto veronese, Marianna Pizzolato, fra le più apprezzate belcantiste di oggi e richiesta concertista in tutto il mondo. La seconda parte propone un’opera emblematica per la combinazione perfetta di forme classiche ed impeto romantico: la Seconda sinfonia in Re maggiore di Ludwig van Beethoven. Completata nell’estate del 1802 dopo due anni di appunti e rielaborazioni, fu accolta al suo apparire con sentimenti contrastanti, suscitando anche nei più critici la consapevolezza di trovarsi di fronte ad un linguaggio nuovo. Principale riferimento stilistico è Haydn, il cui raffinato umorismo pervade la Sinfonia come in pochi altri casi del genio di Bonn. L’Adagio molto introduttivo, sospeso e solenne, funge da propellente al successivo Allegro con brio di fremente e incontenibile entusiasmo. Atmosfera che ritorna, dopo l’omaggio al Settecento del grazioso Larghetto (quasi un minuetto), nell’irruente Scherzo tipicamente beethoveniano. Il composito finale fu definito all’epoca “troppo bizzarro, selvaggio e rumoroso”: l’originale trattamento dei fiati e dei contrasti timbrici e dinamici avrebbe aperto la strada alle opere più mature e romantiche. Ascoltato oggi, l’intero lavoro ha il sapore di un ultimo sguardo al passato, ad un aureo Classicismo che non sarebbe più tornato nella produzione successiva di Beethoven, non più con tali freschezza ed equilibrio.
Elide Bergamaschi