Il suo stile essenziale, ma ricco di autentica passione, immediatamente riconoscibile, lo hanno reso un cantante particolarmente stimato e con un seguito di pubblico che gli è rimasto fedele negli anni. Giampiero Anelli da Pavia, per tutti Drupi, non è il solito artista. Autodidatta, anticonformista, dalla simpatia contagiosa e poco avvezzo ai presenzialismi televisivi, già a 15 anni comincia a calcare i palchi delle balere pavesi. Dopo aver formato “Le Calamite”, gruppo con cui si esibiva durante la stagione estiva, d’inverno tornava a fare l’idraulico («ma io», precisa, «non guadagnavo un tubo, mentre oggi sono tutti ricchi»). Riccardi e Albertelli, produttori discografici e autori scoprirono le sue doti interpretative e lo introdussero nel mondo della musica incisa. Al Festival di Sanremo esordì nel 1973 con “Vado via”, canzone che nonostante l’ultimo posto diventa un successo internazionale vendendo milioni di copie. E da lì non si è più fermato. Una carriera ricca di soddisfazioni. A confermarlo anche i numeri, che quelli non mentono mica: quindici milioni di dischi venduti nel mondo, venti album, centinaia di tour in tutta Europa, Russia (dove è una sorta di eroe nazionale), America e Canada, 14 dischi d’oro in Italia e all’estero.
- Drupi, ha guardato il Festival?
«Mi è toccato, altrimenti mia moglie mi “strozzava”»
- E che idea si è fatto delle canzoni in gara?
«Mi ha divertito Donatella (Rettore, ndr), ma la maggior parte delle cose che ho sentito non mi appartiene, perciò mi viene difficile esprimere un giudizio».
- Lei vanta otto partecipazioni a Sanremo, tra cui quella storica del 1982 dove raggiunse il terzo posto con “Soli”, canzone di cui fu coautore insieme a Gianni Belleno e Vittorio De Scalzi dei New Trolls. Cosa ricorda di quell’edizione?
«Caspita, già quarant’anni sono passati? Ammetto che fu un’edizione molto bella e salire sul podio per me fu una vera sorpresa. In gara eravamo, se ben ricordo, una trentina. C’era anche la mia amica Mimì (Mia Martini, ndr), che si aggiudicò il Premio della critica con “E non finisce mica il cielo, uno dei suoi tanti capolavori».
- È vero che quando le comunicarono il risultato era già in pizzeria?
«Sì, e dovetti tornare all’Ariston di corsa per le foto insieme a Riccardo Fogli e Albano e Romina, che mi precedettero sul podio».
- L’ultima volta che vi partecipò fu nel 1995
«Andai un po’ svogliatamente, portando “Voglio una donna”, brano che forse non fu capito ma che secondo me aveva delle grandi potenzialità».
- D’altronde ha sempre ammesso di non aver mai partecipato per la classifica…
«E’ così, ma esserci era importante per promuovere i dischi. A quei tempi bastava partecipare a Sanremo ed eri a posto per tutto l’anno».
- Oggi il Festival è profondamente cambiato, eppure continua a mietere ascolti altissimi nonostante le critiche che ogni anno lo accompagnano. Come se lo spiega?
«Volenti o nolenti resta una tradizione popolare che non ha eguali nel mondo. Ma la realtà è che si è evoluto in un contenitore dove i cantanti e la musica sono diventati l’intrattenimento, mentre prima erano i protagonisti. C’è una verità incontrovertibile: i Festival passati te li ricordi per la canzoni, quelli di adesso per gli sketch comici e le polemiche».
- Sta lavorando a qualche progetto in particolare?
«Ho finalmente convinto mia moglie (Dorina Dato, una delle coriste che accompagnava Drupi in tournée), con cui da quarant’anni scriviamo i pezzi a quattro mani, a cantare vicino a me: un lavoro a cui tenevo molto».
Matteo Vincenzi