Trapianto di organi malati, caso archiviato. Erano indagati 18 medici del Poma

MANTOVA  – Perirono tutti e tre dello stesso tipo di tumore dopo un trapianto di organi ricevuti dal medesimo donatore, morto suicida, ma nessun colpevole. Ci sono voluti cinque lunghi anni di indagini per definire le cause che portarono al decesso del 63enne Giuseppe Pellegrino di Vallo della Lucania e dei 50enni Mayouf Bishara di Brescia e Giorgio Prina di Pavia. Il gip Matteo Grimaldi, accogliendo la richiesta dello stesso Pm ha archiviato infatti l’accusa di omicidio colposo nei confronti di 18 indagati, tra primari, specialisti ed infermieri coinvolti nelle procedure di espianto-trapianto eseguite presso l’ospedale mantovano “Carlo Poma” nel dicembre del 2012. Nessun comportamento dal quale individuare responsabilità penali, dunque, per i sanitari che, a vario titolo, si occuparono del trapianto poiché, come sancito dalla superperizia degli esperti nominati durante l’incidente probatorio, “la malattia neoplastica del donatore non era sospettabile né accertabile al momento dell’espianto”, definendo “inutile riesumarne il cadavere essendo trascorsi 8 anni dalla morte”. L’avvocato  Riccardo Ruocco, che assisteva i familiari di due delle tre vittime costituitisi parte civile al processo, oltre a dichiarare di rispettare pur non condividendo la decisione del giudice riguardo l’assenza di responsabilità penali dei medici, ha sottolineato come dall’incidente probatorio siano emerse comunque delle «verità nascoste», ovvero che «si è trattato di una trasmissione neoplastica da donatore a beneficiari, veicolata attraverso il trapianto», dopo che ben due procure avevano arechiviato il caso sostenendo che non poteva esservi nesso tra trapianto e decessi.