Nel silenzio della parola Adania Shibli e la scrittura come resistenza alla cancellazione della memoria

MANTOVA Al Festivaletteratura di Mantova la voce di Adania Shibli ha portato un silenzio denso e carico di significato, trasformando il suo intervento in un momento di ascolto collettivo.
Parlando del suo libro Sensi, pubblicato in Italia da La nave di Teseo, l’autrice palestinese ha ribadito come la scrittura nasca da un rapporto diretto con la propria terra e con le ferite che la attraversano. “La Palestina ti insegna come trattare la scrittura e la lingua”, ha detto, sottolineando come la scelta di non dare nomi ai suoi personaggi rifletta la realtà di tante persone che muoiono senza lasciare traccia, senza che il loro nome sia ricordato, in una cancellazione tanto brutale quanto sistematica. Per Shibli, la narrativa diventa allora un atto di resistenza: un modo per restituire dignità a ciò che altrimenti rimarrebbe invisibile. La sua Palestina è anche una maestra di linguaggio, maestra di una lingua spezzata, frammentata dall’occupazione, contrapposta a quella dei potenti che invece manipolano le parole per infliggere violenza e imporre dominio. La scrittrice ha insistito sulla differenza tra l’amicizia dei palestinesi verso la terra, un legame intimo fatto di cura e rispetto, e l’atteggiamento dei colonizzatori, fondato su conquista e sfruttamento. In questo modo, il suo discorso ha intrecciato il piano letterario e quello politico, mostrando come l’arte di raccontare non possa essere separata dalla realtà da cui proviene. La presenza di Shibli ha confermato il ruolo della letteratura come strumento di resistenza e testimonianza, capace di dare parola a chi non ce l’ha, di custodire i dettagli che raccontano il tutto e di mostrare che anche nella lingua spezzata si nasconde una possibilità di futuro.
Il pubblico mantovano ha accolto il suo intervento con grande attenzione e rispetto, consapevole del valore profondo delle sue parole.
In un contesto dove spesso la narrazione dominante tende a semplificare o distorcere, Shibli ha offerto una prospettiva complessa, poetica e radicale. Il suo modo di raccontare, fatto di pause, di sguardi e di silenzi, ha reso evidente che anche il non detto può essere carico di significato. La sua presenza ha arricchito il festival, rendendolo ancora una volta uno spazio di dialogo autentico, dove la letteratura non è solo intrattenimento, ma diventa coscienza, memoria e responsabilità. In un tempo segnato da conflitti e polarizzazioni, la sua voce ha ricordato che raccontare è anche un modo per ricucire, per dare forma all’invisibile e per immaginare un futuro dove le parole possano guarire.
E proprio in questo futuro, fatto di frammenti e possibilità, la letteratura si fa ponte tra culture, tra ferite e speranze, tra chi parla e chi finalmente può essere ascoltato.
Il Festivaletteratura, con incontri come quello di Shibli, si conferma come luogo dove le parole non si limitano a descrivere, ma agiscono, trasformano, e aprono varchi di comprensione nel cuore del presente.