MANTOVA In gergo tecnico viene definita Bpa, acronimo di Bloodstain Pattern Analysis, vale a dire l’interpretazione scientifica delle macchie di sangue presenti sul luogo del delitto: la dimensione, la forma, la distribuzione e la posizione delle tracce ematiche indicano infatti agli esperti gli elementi sui quali ricostruire la dinamica dell’accaduto.
Questo in sostanza l’incombente peritale conferito ieri ai Ris di Parma dal giudice per le indagini preliminari Arianna Busato e afferente il caso di specie della 31enne di Mantova rinvenuta, esattamente due anni fa, nella propria abitazione con un profondo taglio alla gola e quindi deceduta nemmeno quarantottore dopo al Carlo Poma. Una vicenda, ancora dunque in fase di indagini preliminari e classificata in prima battuta dagli investigatori come suicidio, circostanza questa su cui però i genitori della ragazza non hanno mai creduto.
Sulla base di diversi esposti in procura, sicuri che non si fosse trattato di un gesto di autolesionismo della loro figlia, sono così riusciti ad ottenere un supplemento d’indagine da parte del pubblico ministero Giulio Tamburini, con relativa iscrizione nel registro degli indagati, quale atto dovuto, del fidanzato della vittima circa l’ipotesi di reato di istigazione al suicidio. Era stato proprio lui infatti, attorno alle 21,30 del 15 novembre 2021, a ritrovare la convivente riversa sul pavimento della loro camera da letto con una profonda ferita da arma da taglio che gli aveva reciso la carotide. Scattato immediato l’allarme al 118, la giovane agonizzante era stata quindi trasportata d’urgenza in ospedale e ricoverata nel reparto di terapia intensiva dov’era poi deceduta la mattina del 17 novembre. Interrogato a stretto giro dagli agenti della Squadra Volante prima e della Mobile poi l’indagato – un optometrista italiano all’epoca 32enne – aveva così raccontato la propria versione dei fatti: in sostanza asserendo di aver trascorso quella sera con la fidanzata a casa di una coppia di loro amici. Ma a causa di un litigio scoppiato fra i due a cena in corso, la serata in compagnia era finita bruscamente anzitempo. Una volta giunti sotto casa, nella prima periferia del capoluogo, la 31enne aveva così piantato per strada il convivente salendo nell’appartamento prima di lui. L’uomo, rientrato anch’egli una manciata di minuti dopo, l’aveva raggiunta in camera da letto, a quanto pare per un chiarimento, ritrovandola però in una lago di sangue. A fronte del suo decesso era stata quindi disposta l’autopsia. L’esame autoptico, eseguito dal dottor Dario Raniero della Medicina legale dell’Università di Verona, aveva appurato il motivo della morte, per dissanguamento, senza però chiarire l’esatta dinamica dell’evento violento. Una prima ipotesi investigativa aveva portato a propendere per un atto volontario della ragazza. L’arma bianca utilizzata, dalla lama affilatissima – in via preventiva ascritta altresì a un bisturi – era stata sequestrata. Compito degli inquirenti, così come pure ora quello dei Ctu, accertare senza ombra di dubbio se la ferita, poi rivelatasi fatale, sia compatibile o meno con un colpo auto-inferto.
Su questo precipuo aspetto saranno dunque chiamati ad esprimersi i consulenti incaricati dal gip, in sede di incidente probatorio: il maggiore Nicola Staiti e il maresciallo capo Biagio Amata, della sezione biologica dei carabinieri del Ris di Parma i quali avranno tempo 90 giorni, a far data dal 4 dicembre prossimo, per il deposito della loro relazione tecnica.
Parti civili invece, con gli avvocati Silvia Salvato e Fabio Piccinelli, il padre e la madre della vittima, presenti ieri in tribunale con una maglietta riportante l’immagine della figlia. Loro consulente di parte, già affidatario di perizia depositata agli atti secondo la quale vi sarebbero elementi contrastanti con la tesi del suicidio, l’ex comandante dei Ris di Parma, generale Luciano Garofalo. Pure l’indagato infine, difeso dallo studio legale Genovesi, ha incaricato un proprio consulente, non presente però alla seduta in camera di consiglio.