MANTOVA Due anni e sei mesi di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali e a una provvisionale in favore delle due parti civili costituite da 8mila euro ciascuna, a fronte dei cinque anni avanzati in requisitoria dal pubblico ministero Elisabetta Favaretti. Questo quanto deciso ieri pomeriggio dal collegio dei giudici, presieduto da Enzo Rosina, nei confronti di un cinquantenne residente nell’hinterland cittadino finito a processo circa le ipotesi di maltrattamenti in famiglia e lesioni personali.
Nello specifico, in un arco temporale di una decina di anni – stando al quadro accusatorio a lui ascritto e sostanzialmente confermato alla lettura del dispositivo – avrebbe posto in essere ogni sorta di vessazione e umiliazione sia ai danni dell’allora compagna convivente che della figlia, aggravate altresì in diverse occasioni dall’abuso di sostanze alcoliche. Episodi violenti in serie da lui perpetrati in danno dei propri familiari tra il 2012 e il 2022 che, secondo quanto raccontato dalla stessa figlia (parte civile assieme alla madre e rappresentate rispettivamente dagli avvocati Sara Zaniboni e Filippo Moreschi) si erano succeduti fin da quando lei, oggi maggiorenne, aveva 12 anni. Ad avvalorare ulteriormente la tesi inquirente ci aveva pensato, in avvio d’istruttoria, pure la stessa madre dell’imputato, chiamata nell’occasione a salire sul banco dei testimoni della pubblica accusa. Parole decisamente dure quelle rivolte dalla donna, in tale occasione, all’indirizzo del figlio. «Non so cosa gli sia successo – aveva detto l’anziana – un tempo non era così. A partire da un certo punto però gli episodi violenti rivolti a mia nipote e a mia nuora non si sono più contati. Pure a me ha fatto del male minacciandomi di buttarmi giù dalle scale, così come fatto sempre da lui anche a mio marito nonché di buttarmi fuori casa e di farmi morire sola come un cane». Accuse, ricusate in toto dal cinquantenne, (difeso dagli avvocati Andrea Pongiuluppi e Monica Bertolini), nel corso della propria audizione. Un verdetto di condanna, comprensivo altresì del rigetto dall’istanza di revoca della misura cautelare del divieto di avvicinamento alle persone offese. Da stabilirsi in separata sede l’eventuale quantificazione del danno, stante la richiesta di parte civile di 310mila euro per danni patrimoniali e non patrimoniali.