Cristiano De Andrè: “Mantova, ci riproviamo. Nel nome di mio padre”

Mantova Cristiano De Andrè ci riprova. Il suo primo concerto in terra mantovana, programmato lo scorso 1 settembre all’Esedra di Palazzo Te, era stato annullato per un violento acquazzone. Di certo non correrà questo rischio domenica 7 dicembre, visto che si suonerà al chiuso del PalaUnical (biglietti su ticketone.it, con tanto di promozione Black Friday). “De Andrè canta De Andrè”: questo il nome del tour, che vedrà Cristiano rileggere alcuni dei mille capolavori del padre Fabrizio.
Cristiano, ripartiamo dal rinvio di settembre…
«Mi è dispiaciuto molto. Avevamo fatto le prove nel pomeriggio, la cornice era meravigliosa… Ero disposto ad aspettare, ma la pioggia non smetteva e la gente andava via. Peccato».
Il concerto al PalaUnical sarà diverso da quello previsto al Te?
«No, nessuna novità. Riproporrò il meglio dei quattro dischi che ho dedicato al repertorio di mio padre. Una rosa ampia di brani, dagli inizi fino all’ultimo album Anime salve. Due ore e mezzo di spettacolo, con qualche aneddoto tra un brano e l’altro».
Cosa avrebbe detto tuo padre di questo concerto? Ti sarebbe venuto a sentire?
«Di più: sarebbe salito sul palco a cantare. L’idea originale era partita proprio da lui: un tour insieme, con i miei arrangiamenti. Non c’è stato il tempo, ma sono orgoglioso di portare in giro la sua arte».
Quanto impiegava Fabrizio a scrivere una canzone?
«Tantissimo, perchè era un perfezionista. Leggeva molto. Era capace di “divorarsi” 2-3 libri a notte. Si appuntava delle cose sui bordi bianchi, i suoi libri sembravano una caccia al tesoro. Uno pensa: chissà quante canzoni sono nate da quegli appunti. E invece erano solo frammenti, magari una parola sola che sarebbe finita in un brano. Io ho avuto la fortuna di vivere le gestazioni di molti dischi: da Non al denaro non all’amore nè al cielo a Crêuza de mä, passando per Rimini e L’indiano».
A proposito di Crêuza de mä, hai avuto subito la percezione che sarebbe stato un album spartiacque?
«Sì. Anche perchè Mauro Pagani mi fece sentire in anteprima alcuni suoni e melodie che lo avevano ispirato durante un viaggio in Nord Africa. Le ho trovate subito bellissime. L’album doveva essere in italiano, ma a mio padre venne l’idea di rivestire questi suoni con la lingua genovese. In quegli anni (era il 1984, ndr) andava tutt’altra musica. Crêuza de mä fu una svolta».
Nell’intervista di tre mesi fa indicasti Verranno a chiederti del nostro amore come la canzone di Fabrizio cui sei più legato. Qual è invece il brano, non di tuo padre, che avresti voluto scrivere tu?
«Ti rispondo senza esitazioni: I treni a vapore di Ivano Fossati».
La musica ha perso da poco una fuoriclasse: Ornella Vanoni. Che ricordo hai di lei?
«Io Ornella non l’ho conosciuta, l’ho proprio vissuta. Era una sorta di zia, mi chiamava Cristianuccio. Mi piange il cuore pensare che non ci sia più. Anche suo figlio lo chiamò Cristiano, che poi era il secondo nome di mio padre».
Il 2025 ci ha portato via anche Pippo Baudo…
«Un altro grande. C’era lui a Sanremo quando arrivai secondo con Dietro la porta. L’anno dopo abbiamo avuto uno “scazzo”, perchè avevo presentato un brano scritto con mio padre (Cose che dimentico) e lui lo scartò. Mio padre ci rimase male. Poi col tempo ci siamo ritrovati».
A proposito di Sanremo, domenica verranno annunciati i Big. Sarai nella lista?
«No. Era nei programmi, ma abbiamo deciso di aspettare un anno. Voglio prima avere un progetto discografico definito, su cui cominceremo a lavorare a breve».
Intanto godiamoci ancora i capolavori immortali di Fabrizio De Andrè…
«Vi aspetto il 7 dicembre al PalaUnical».
Gabriele Ghisi