MANTOVA Centonove presenze (compresi Coppa Italia, play off e play out) bastano e avanzano per inserire Matteo Gerbaudo tra i giocatori più rappresentativi del Mantova dell’ultimo triennio. «Nel mio piccolo – ammette – , superando le 100 partite, sono entrato nella storia di questo club e la cosa mi inorgoglisce. Io al Mantova e a Mantova devo tanto». Purtroppo questa bella storia di attaccamento si è chiusa (forse, chissà…) con un epilogo amarissimo: la retrocessione in Serie D. Da qui parte la chiacchierata col vicecapitano biancorosso.
Matteo, cos’è rimasto a distanza di 5 giorni?
«Amarezza e delusione. Perchè sembrava ce la potessimo fare».
Riavvolgiamo il nastro…
«Dopo l’1-1 con la Juve stringemmo una sorta di “patto di squadra”. Le vittorie con Albinoleffe, Renate e Pro Vercelli sono figlie di quel pari, che ci diede una forza incredibile. Eravamo riusciti a portarci fuori dalla zona play out e sembrava fatta…».
E invece?
«Invece siamo inciampati sull’ultimo ostacolo: il Padova. Quella partita nefasta ci ha tolto tanto a livello mentale. Non abbiamo avuto l’esperienza e la furbizia sufficienti».
Non sono servite due settimane per ritrovare le energie perdute…
«In realtà, non ho mai avvertito segnali negativi tra il match col Padova e l’andata dei play out. Anzi, vedevo forza nei miei compagni. Poi, si sa, nei play out non sempre vince il più forte, ma chi ci arriva meglio».
Il Mantova era più forte?
«Io dico che si sono affrontati due squadre dai valori alti. Durante il riscaldamento un giocatore dell’Albinoleffe mi ha avvicinato chiedendomi “ma come ci siamo ritrovati qui? Soprattutto voi… è assurdo”».
Tu non hai giocato il match di ritorno: scelta tecnica del mister?
«Non ero in condizione. All’andata avevo fatto i salti mortali per esserci perchè a centrocampo eravamo in emergenza, ma ho giocato lontano dai miei standard. Al ritorno, d’accordo col mister, sono rimasto in panchina».
Da dove poi sei stato espulso…
«In realtà il quarto uomo ha chiesto all’arbitro di ammonirmi. Ma il direttore di gara mi ha sventolato il rosso».
Se ripensi a questa stagione cosa ti viene in mente?
«Tanti flash. Su tutti la partita con la Virtus Verona: quella sconfitta, con loro in 10 e noi avanti 2-0, ha dato il via alla discesa».
Altri snodi?
«Beh, in generale è stata una stagione stranissima. Avevamo fatto un grande ritiro, con un allenatore (Corrent, ndr) che sembrava poterci dare tanto. Poi l’inizio traumatico: tre sconfitte nelle prime tre gare. Eppure ci siamo rialzati. Salvo poi ricadere di nuovo, senza trovare continuità. Penso che un altro snodo sia stata la pausa natalizia: lì sembrava che avessimo trovato la quadra, invece alla ripartenza è arrivato il 5-0 di Novara».
La diffidenza dei tifosi verso Corrent può aver pesato?
«Forse più per il mister che per noi».
Ecco appunto: a voi cos’è mancato?
«Bisogna fare una distinzione tra il dentro e il fuori dal campo».
Spiegaci…
«Fuori eravamo un gruppo fantastico, e non è una frase fatta. Conserverò per sempre i messaggi di tanti ragazzi che ci hanno tenuto a salutarmi e a ringraziarmi».
In campo invece?
«Il problema era lì. Non siamo riusciti a trasformare questa coesione e compattezza in rabbia agonistica. Prendevamo gol e non reagivamo come avremmo dovuto».
Cosa ti ha dato Mantova in questi tre anni?
«Tanta serenità. E la continuità che cercavo: ero abituato a cambiare squadra ogni anno, invece a Mantova mi sono stabilizzato».
A chi un grazie?
«A tutti quelli che mi hanno accolto e sostenuto in questi tre anni. A Mantova sono cresciuto anche come uomo, sono diventato padre… Tre anni in una città sono tanti. Posso dire di sentirmi un po’ mantovano».
Il dispiacere più grande?
«Ovviamente il finale. Mi dispiace soprattutto per i tifosi che, sia pur con qualche borbottio, ci hanno fatto sentire il loro supporto come mai prima: 5mila persone allo stadio era da un po’ che non si vedevano. E questo amplifica l’amarezza per com’è finita».
Rimarresti anche in Serie D?
«Potrei dirti che lo vorrei tanto, ma non sarebbe corretto. Perchè in questo momento si parla di tutto e niente. Perchè i matrimoni si fanno sempre in due. E perchè ora voglio solo staccare e recuperare dall’infortunio che mi ha condizionato per tutta la stagione. Di tutto il resto si parlerà più avanti. Ci tengo però a dire una cosa».
Prego…
«Comunque vada, resterò sempre un tifoso del Mantova. Aver superato le 100 partite con questa maglia, in questa piazza, per me è un orgoglio».