MANTOVA Domenico Di Carlo, detto Mimmo. Semplicemente uno degli allenatori più vincenti della storia del Mantova. Quattro campionati e il seguente bilancio: una promozione in C1, una in B, una sfiorata in A, e un onorevolissimo ottavo posto nel torneo cadetto più difficile della storia (con Juve, Napoli e Genoa). Aggiungere altro sarebbe superfluo. Lo lasciamo fare a lui, che lunedì tornerà dopo 15 anni al Martelli, per la prima volta da avversario, sulla panchina del Pordenone.
Mister, non può essere una partita come le altre…
«No che non lo è. Sento già adesso l’emozione. È la prima volta che rimetto piede alla “Bombonera” e sarà un piacere immenso ritrovare i tifosi mantovani».
Cos’ha rappresentato per lei il Mantova?
«Il Mantova mi è rimasto dentro. Fu la mia prima esperienza da allenatore in una prima squadra e ringrazierò sempre Magalini e Castagnaro che mi hanno voluto ed hanno creduto in me. Li considero due visionari, com’è stato poi Lori: personaggi ambiziosi, che puntavano in alto, che credevano in un progetto e lo sostenevano».
A distanza di anni cos’è rimasto di quell’esperienza?
«La consapevolezza di aver fatto qualcosa di straordinario. E un unico rammarico: non aver raggiunto la Serie A. Ci siamo andati ad un… centimetro di distanza».
Ecco, pensa che con un finale diverso nella notte di Torino la storia del Mantova sarebbe cambiata?
«Credo di sì. Un Mantova in A avrebbe attirato l’interesse di tanti altri imprenditori. L’entusiasmo a quei tempi era incredibile: non riuscivo a farmi sentire dalla panchina da quanta gente c’era. E poi il legame tra me e i tifosi, gli amici della Bocciofila, le torte….».
Tre fotogrammi per riassumere le sue quattro stagioni biancorosse. Via col primo…
«La partita di Montichiari, nel primo anno. Eravamo in difficoltà, la squadra non ingranava. Si parlava di esonero. Giocammo male ma vincemmo con un gol fortunoso. Poteva essere la fine, fu l’inizio di tutto».
Il secondo?
«La finale di ritorno col Pavia che ci ha mandati in B. Venti minuti ed eravamo già 3-0. Mai vista una roba del genere. Era un Mantova schiacciasassi, chiunque giocasse dava l’anima».
E il terzo?
«Tante partite in Serie B. Ma vi ricordate Brambilla e Grauso a centrocampo? Formidabili. E Graziani? Sembrava Dzeko. E poi Poggi, Tano (Caridi, ndr), Notari, il mio attuale vice Mezzanotti… Il segreto di quel Mantova era un insieme di componenti: grande squadra, grande società, grandi tifosi».
I tifosi, appunto. Lunedì la Curva Te la omaggerà con una targa…
«Li ringrazio fin d’ora e li abbraccio tutti. Mi hanno chiamato in tanti in questi giorni».
Veniamo al presente. Che Mantova si aspetta lunedì sera?
«Il Mantova ha passato un momento difficile. Ma, del resto, non pensate sia semplice sopperire all’assenza di Monachello. Stiamo parliamo di un giocatore di categoria superiore. Però il Mantova dispone di altri ragazzi fortissimi: Guccione, Mensah… In più affronterà la capolista, con tutto il carico di stimoli che ciò comporta».
E dal Pordenone cosa dobbiamo aspettarci?
«Noi dobbiamo essere umili e determinati. Se non giochi al massimo non vinci, specialmente in un torneo così equilibrato come questo».
Appunto, si aspettava tanto equilibrio?
«Sì, penso che tutte le squadre siano temibili perchè ognuna ha almeno 2-3 giocatori che possono fare la differenza. Poi fra 4-5 partite capiremo meglio i valori».
Tornando al Mantova, che consiglio darebbe a Corrent? Sta seguendo un percorso simile al suo…
«Noi allenatori siamo figli dei risultati. Stop. Dobbiamo fare i risultati, il resto non conta. Penso anche che, prima di giudicare un tecnico, gli vadano date 10-12 partite per esprimersi. E i conti si fanno comunque alla fine».
E un consiglio ai tifosi mantovani lo darebbe?
«Di stare vicino alla squadra e alla società, nella consapevolezza che oggi è difficilissimo fare calcio. Mantova è una piazza che va scaldata, curata».
Per chiudere, voliamo con la fantasia: sarà mai possibile un ritorno di Di Carlo al Mantova?
«Io non metto limiti a nulla. Premesso che ora sto benissimo a Pordenone, dico che se in futuro mi proponessero un progetto serio, con obiettivi precisi, lo prenderei in considerazione. Mantova per me è “emozione”: come potrei tirarmi indietro?».
Gabriele Ghisi