VERONA La prima de Il barbiere di Siviglia, lo scorso 24 giugno nel cartellone del 100° Arena di Verona Opera Festival, è stata davvero una grande conferma. Sebbene la produzione non sia una novità, la sua freschezza è rimasta immutata e di straordinario fascino. La malìa della scenografia, siepi rotanti di un giardino all’italiana e le grandi rose rosse a fare da cornice, colpisce ancor prima che la rappresentazione abbia inizio. Da rimarcare, senz’altro, le coreografie di Leda Lojodice che regalano leggerezza e stupore, e che sono tutt’altro che di contorno. Ovviamente un grande plauso va al poliedrico Hugo De Ana, regista, scenografo e costumista che è stato in grado di imbastire una rappresentazione assolutamente in tono con le intenzioni del capolavoro rossiniano: un’opera buffa in senso letterale, tanto da suscitare risate a scena aperta da parte del pubblico, con quel tocco rococò che la cala perfettamente nell’epoca in cui è ambientata. Insomma un allestimento da dieci e lode che merita di essere riproposto più e più volte.
Naturalmente non poteva mancare qualche spina, ma si tratta di un dettaglio trascurabile nel complesso di un lavoro davvero eccellente. Partiamo quindi dai pregi dell’esecuzione. L’orchestra, il coro e il corpo di ballo della Fondazione Arena hanno dato il meglio di sé e va indubbiamente sottolineato che il direttore, Alessandro Bonato, ha saputo dare consistenza notevole alla partitura, evitando di scadere in errori grossolani come accentuare i crescendo o di stringere i tempi laddove non necessario, cosa che purtroppo spesso si sente.
Due i protagonisti assoluti: il Conte di Almaviva di Antonino Siragusa e il dottor Bartolo di Carlo Lepore. Il primo perché ha sostenuto la parte con grandissima maestria fin dall’inizio e ha portato a termine la performance con straordinaria sicurezza. Una voce inscalfibile e di grande agilità che non lo ha mai tradito: un plauso grandissimo e un ammirato elogio per la qualità dell’esibizione. Il secondo perché, a parte la timbrica incisiva e l’eccezionale agilità dimostrata ne “Signorina un’altra volta”, ha stupito per la sua dinamicità, nonostante la mole (vedesi l’esilarante salto della corda): davvero ha centrato il personaggio, sia nel cantato che nei recitativi, e viene voglia di riascoltarlo in altri ruoli di cui, siamo sicuri, è capacissimo (magari un Dulcamara?). Un vero animale… da palcoscenico.
Due note di merito a parte per Michele Pertusi (don Basilio) e per Marianna Mappa (Berta). Pur essendo i loro personaggi di secondo piano nella trama, le loro prove sono state di uno spessore incredibile. Da tempo non si sentiva una “La calunnia è un venticello” così robusta e armoniosa. Tanto di cappello per la presenza scenica e per l’interpretazione de “Il vecchietto cerca moglie” del mezzosoprano: una perla da incorniciare che forse non tutti hanno còlto nella sua magnificenza.
Ma veniamo ai piccoli rilievi, di cui chiediamo fin d’ora venia ai professionisti di cui intendiamo parlare. Quelli che dovevano essere i protagonisti, il Figaro di Dalibor Jenis e la Rosina di Vasilisa Berzhanskaya. Entrambi, nelle arie di apertura, forse complice l’emozione, hanno mostrato qualche smagliatura nell’esecuzione anche se, a onor del vero, si sono poi ampiamente ripresi nel prosieguo dell’opera. Nella più celebre e iconica “Largo al factotum”, l’artista non è riuscito, come ci si poteva legittimamente attendere, a calamitare il focus su di lui. Poi però è emerso il mestiere e ha portato a termine una prestazione oltre le aspettative, visto l’esordio. Il soprano, che avrebbe dovuto dare il meglio di sé in “Io sono docile”, un’aria dove sarebbero dovute emergere tutte le sue qualità virtuosistiche, a nostro parere, è stata eseguita con il freno a mano tirato: peccato. Anche per lei, però, vale il discorso che, dopo questa piccola defaillance iniziale, ha recuperato alla grande.
Per concludere, il giudizio complessivo è assolutamente positivo, tanto da invitare tutti i melomani ad assistere a questo spettacolo che stupisce e incanta per i suoi colori, le sue trovate sceniche e per godersi una produzione fantastica nella cornice dell’anfiteatro scaligero.
Davide Savorelli