MANTOVA Era accusato di aver effettuato, nell’arco di un anno, una decina di accessi ingiustificati al sistema d’indagine (Sdi – ndr) a disposizione delle forze di polizia per la raccolta delle informazioni e dei dati inerenti la propria attività. A processo, circa l’ipotesi di accesso abusivo a sistema informatico o telematico, era così finito un appuntato scelto dell’Arma dei carabinieri, al tempo dei fatti a lui ascritti in servizio al comando compagnia di Viadana. Nello specifico la vicenda era emersa nel 2020 quando, a seguito di periodici controlli da parte dei superiori dell’accusato, erano state riscontrate presunte anomalie tra gli accessi da lui effettuati e gli ordini o memoriali di servizio.
In apertura d’istruttoria erano stati quindi chiamati a salire sul banco dei testimoni sia l’ex comandante della compagnia di Viadana, maggiore Gabriele Schiaffini, che l’allora comandante del nucleo investigativo dei carabinieri di Mantova, capitano Claudio Zanon, quest’ultimo impegnato a relazionare sulle verifiche del caso di specie effettuate. Da tali accertamenti infatti, relativi il periodo compreso tra il 6 aprile 2018 e il 6 aprile 2019, sarebbero quindi state appurate 19 interrogazioni allo Sdi da parte dell’imputato di cui dieci senza giustificazione di servizio.
In particolare, stando alla ricostruzione inquirente, il militare – non adibito a funzioni d’ufficio ma in servizio al reparto radiomobile – avrebbe approfittato in determinate occasioni, anche in orari notturni nonché durante un periodo di licenza ordinaria dal lavoro, per ottenere informazioni non autorizzate afferenti il casellario penale di alcuni suoi parenti (circostanza questa vietata per legge), tra cui la sorella, il cognato, il nipote e il padre, oltre che di altri cittadini, in apparenza non legati a lui da qualsivoglia vincolo di parentela o affinità. A confutare però tale ricostruzione lo stesso imputato che in sede d’esame aveva ribadito come tali controlli non fossero stati altro che una mera esercitazione essendo lui sprovvisto di debita formazione professionale nell’utilizzo di tale sistema in uso alla centrale operativa dell’Arma. Una versione avallata infine anche dal giudice Giacomo Forte che ieri, all’esito del dibattimento, ha mandato assolto l’appuntato specificando nella circostanza come il fatto non costituisse reato per assenza di dolo per quanto attiene gli accessi afferenti i propri congiunti, e perché il fatto non sussiste in merito alle residue operazioni, a fronte di una richiesta del Pm di 8 mesi.