Abusi alla figlia della compagna, patrigno condannato a 30 mesi

MANTOVA Approfittando dell’assenza della propria compagna, rientrata temporaneamente nel Paese d’origine a causa di un lutto, aveva abusato della figlia di questa, all’epoca ancora infra 14enne. Sotto accusa, circa l’ipotesi di violenza sessuale su minore, era così finito un quarantenne italiano residente nell’Alto Mantovano. Una vicenda delicata risalente nello specifico al luglio di tre anni fa e sviscerata, in sede d’istruttoria dibattimentale, dalla madre e della nonna della persona offesa, costituitasi parte civile al giudizio. Secondo il loro racconto infatti la presunta vittima, cresciuta dall’imputato come se fosse sua figlia naturale, era stata abusata nel sonno dal patrigno, con toccamenti e palpeggiamenti vari soprattutto sul seno e nelle parti intime.
Risvegliatasi infatti di soprassalto, nel cuore della notte, la giovane aveva sorpreso l’uomo accanto a lei nel suo letto, intento a strusciarsi e ad allungare le mani. Un unico episodio incriminato ma bastevole per ingenerare nella ragazzina – oggi quasi 17enne – un tale stato di shock e di turbamento da provocargli ancora oggi ansia, attacchi di panico e diffidenza nelle altre persone. Questo quanto appurato al tempo anche in sede di perizia psicologica, eseguita in fase di indagini preliminari, e addotta agli atti processuali. A far emergere il tutto era stata proprio la giovane confidandosi telefonicamente con la nonna materna. «Mia nipote – aveva spiegato in aula la donna residente in Romania – mi aveva chiesto di raggiungerla in Italia prima di Natale perché doveva raccontarmi di persona un fatto molto grave che le era successo qualche mese prima. Così una volta arrivata mi aveva detto tutto ma pregandomi di non dire niente a sua madre. Io, non ho mantenuto tale promessa; non era un fatto che potevo nascondere a mia figlia, rimasta vedova al terzo mese di gravidanza e messasi assieme a quell’uomo quando mia nipote aveva solo pochissimi mesi di vita».
«Quando chiamavo mia figlia dalla Romania, in quei giorni in cui mi ero assentata per presenziare alle esequie di mio padre – aveva quindi proseguito la madre della minore – la sentivo strana, ma mai avrei potuto immaginare che fosse per una cosa simile. Inoltre, durante le telefonate lui era sempre lì accanto a lei, come a voler monitorare la telefonata. Così, una volta ritornata in Italia l’avevo messo alle strette: il mio ex però aveva dapprima negato e poi edulcorato la faccenda asserendo che non fosse nulla di grave». Ieri infine l’epilogo giudiziario in primo grado con l’imputato condannato a 2 anni e 6 mesi, contro i 6 anni chiesti in requisitoria dal pubblico ministero, stante il riconoscimento delle attenuanti prevalenti sulle aggravanti, oltre ad un risarcimento del danno pari a 5mila euro.