MANTOVA – L’Associazione Amici di Palazzo Te, Mantova Creativa e il Polo Territoriale di Mantova del Politecnico di Milano, con la collaborazione delle società Unical, Lubiam, Agape, Zanetti, Cleca e Antoniazzi, propongono alla Provincia di gestire la Casa del Mantegna attraverso un comitato scientifico che individui e progetti le iniziative culturali indispensabili per valorizzare il bene monumentale. Eretta a partire dal 18 ottobre 1476 su di un terreno donato dal marchese Ludovico II Gonzaga ad Andrea Mantegna (nato nel 1431 in provincia di Padova e morto a Mantova nel 1506) la Casa dell’artista fu per qualche anno l’ultimo edificio dell’asse gonzaghesco, l’ultima abitazione prima degli orti che lambivano le mura meridionali della città. Divenne però subito, con le sue proporzioni cubiche e la perduta raffinata policromia, una delle più originali testimonianze dell’intreccio tra arte e architettura caratteristico della città di Mantova.
Sono ormai lontanissimi gli entusiasmi con cui essa si rivelò nuovamente ai mantovani e al mondo. Eravamo in piena seconda guerra mondiale, eppure, le donne e gli uomini di allora trovarono le forze, le energie, l’impegno e l’entusiasmo per compiere un piccolo, grande miracolo: restituire a quella che ormai era divenuta, col tempo e le trasformazioni, un’anonima porzione di uno dei tanti palazzetti storici della città, la propria dignità di casa d’artista, in grado, con le perfette proporzioni geometriche e la grazia dei propri volumi, di evocare l’antica bellezza e di ispirarne di nuova.
La Soprintendenza di Verona, diretta allora dall’architetto Raffaello Niccoli, approvò il preventivo dei lavori di ristrutturazione l’11 giugno 1940. Dal 1941 gli subentrò l’architetto e ingegnere Piero Gazzola che, nel 1944, poteva dichiarare sostanzialmente concluse le opere.
Con la fine del conflitto si inaugurò per la Casa del Mantegna una ricerca di senso che si allontanò sempre più dall’intenzione iniziale (l’edificio fu dichiarato monumento nazionale il 2 agosto 1945) per approdare alle proposte più eterogenee. Il pubblico dibattito, che ebbe come cassa di risonanza, allora come ora, le pagine del più antico quotidiano d’Italia, evocò l’installazione (nelle stesse sale che avevano assistito alla nascita di un capolavoro come la Madonna della Vittoria, oggi al Louvre) di una scuola di affresco o d’arte, di un museo dell’arredamento, della collezione egizia, della raccolta ebraica, di quella preistorica o (con il solo imbarazzo della scelta) delle collezioni epigrafiche, di pesi e misure, dei rami incisi, sino a proporre la ricostruzione dei camerini isabelliani e l’improbabile allestimento del Museo del Risorgimento. Fu però l’idea che potesse diventare la teca di una galleria d’arte moderna a diffondersi con maggior decisione, soprattutto dopo che l’edificio venne dotato di un impianto elettrico per la storica mostra del 1950 dedicata al pittore Giuseppe Bazzani. Avrebbero infatti potuto trovarvi dimora le raccolte della Provincia e quelle comunali, ora celate nei mezzanini di Palazzo Te. Il regolamento per una Galleria d’arte moderna, approvato dal Consiglio Provinciale nel 1952, mai diventò formalmente operativo per il diniego dell’allora soprintendente Gazzola, l’animatore, insieme a Niccoli, della rinascita della casa d’artista. Tutto fu dunque bloccato. Almeno sino al 1974, quando fu deliberato un uso generico per le attività culturali della Provincia di Mantova. Oggi, dopo le difficoltà manifestate dalla Provincia nella gestione della Casa del Mantegna, c’è questo impegno atto a rendere sempre più alta la qualità offerta dalla città.