Il Re Vittorio Emanuele III fugge con i gioelli

Non si dimentichi l’8 settembre 1943. Data cruciale per la storia del nostro Paese. Segna l’inizio della guerra civile che insanguinò l’Italia quando “era tagliata in due” (secondo una incisiva definizione di Benedetto Croce), con la Repubblica Sociale di Mussolini a Nord tenuta in vita dai tedeschi e il Regno del Sud di Vittorio Emanuele III che godeva del sostegno degli Alleati, gli anglo- americani. Fino al 25 aprile e oltre si è combattuto tra italiani una guerra disperata e feroce in nome – come sostenevano su fronti opposti repubblichini e partigiani – dell’amore, della dignità e della libertà. In generale la storiografia parla solo di “ Guerra di Liberazione”, invece l’Italia ha combattuto un guerra civile che, pur non raggiungendo gli orrori di quella spagnola, ha provocato nel Paese una spaccatura che ci volle tempo per essere riparata. L’antefatto è del 7 settembre, giorno antecedente la comunicazione agli italiani dell’avvenuto armistizio. Il Re che in questo tumultuoso susseguirsi di avvenimenti tendeva a defilarsi, dovette uscire allo scoperto perché, verso mezzogiorno, gli fu annunciata , a Villa Savoia, la visita di cortesia di Rudolf Rahn, ambasciatore tedesco. Lo accolse con cordialità e loquacità maggiori del consueto (di mezzo c’era la defenestrazione del presidente Mussolini e la sua sostituzione con Badoglio nuovo presidente del Consiglio), ma eluse le domande più insidiose rinviando a Badoglio “vecchio onorato soldato alle cui assicurazioni bisogna prestare fede”, e aggiungendo di suo: “Dica al Fuhrer che l’Italia non capitolerà mai (l’aveva fatto già da qualche giorno). E’ legata alla Germania per la vita e per la morte”. Da gran tempo il piccolo Re non pensava ad una lotta disperata, ma alla fuga, che avverrà dopo l’8 settembre e conseguentemente il prezzo da pagare è tutto a carico del popolo, civili e militari. Aveva da tempo, secondo Indro Montanelli nella Storia Illustrata, edizione Corriere della Sera, consegnato a un dignitario di sua fiducia i gioielli della corona – qualcuno li valutò a due milioni di dollari di allora – e spedito in svizzera quaranta carri merci sigillati, pieni di quadri, sculture, vasi preziosi, tappeti, argenteria. Inoltre, preparandosi al tradimento, aveva richiamato i principi di Casa reale dai loro posti di comando della Forze Armate. Il gruppo armate sud rimane senza il suo comandante, che era il Principe ereditario Umberto, il duca di Bergamo è esonerato dal comando della 7^ armata, il duca di Genova e Aimone duca d’Aosta tolti dai loro incarichi in marina. Sono le 18,30 dell’8 settembre, la voce registrata di Eisenhower dice al mondo, per radio, che “le Forze Armate del governo italiano si sono arrese incondizionatamente”, che “il governo italiano ha accettato questi termini senza riserve” e infine tutti “gli italiani che ora agiranno per contribuire a cacciare l’aggressore tedesco fuori dal territorio italiano avranno l’assistenza e l’aiuto delle Nazioni Unite”. Solo che per sottrarsi alla reazione dei tedeschi e fuggire indisturbato il Re giocherà la carta del “sono da entrambe le parti”, per cui non fece argine all’entrata in Italia delle divisioni germaniche che occuparono il Paese. I tedeschi in cambio dell’occupazione lo lasciano partire. Sono le ore 19 e 30 dell’8 settembre, si aprono i microfoni: “Il governo italiano, riconosciuta l’impossibilità di continuare l’impari lotta contro la schiacciante potenza avversaria, nell’intento di risparmiare ulteriori e più gravi danni alla nazione, ha chiesto l’armistizio al generale Eisenhower…La richiesta è stata accolta. Conseguentemente ogni atto di ostilità contro le forze armate anglo americane deve cessare. Esse però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza”. Alle ore 19,45, queste parole hanno illuso l’Italia che la guerra fosse finita. Ma la parte ambigua lascia le truppe senza ordini. Le decisioni sono personali, le ambiguità produrranno una tragedia di proporzioni immani. Prigionia per i soldati che non hanno reagito, passati con le armi quelli che hanno tentato la difesa.

GASTONE SAVIO