Una manifattura in pericolo tra tasse, cassa integrazione e un’Europa che non ascolta, intervista al presidente di Apindustria Confimi

MANTOVA – E’ un Francesco Ferrari che prende atto delle difficoltà del Paese ma rilancia con energia sul 2025: «Non siamo intimoriti di quello che ci aspetta, perché ormai siamo abituati a gestire le crisi e gli imprevisti. Quello che speriamo per il prossimo anno è una riduzione delle parole e un aumento delle azioni concrete, con il rispetto delle promesse fatte. Alcuni passi avanti sono stati fatti per ridurre la pressione fiscale, ma è necessario un cambiamento deciso, una svolta radicale. Altrimenti, rischiamo di perdere le eccellenze del Made in Italy e di trasformarci in un semplice mercato, dove i marchi italiani manterranno solo il nome, ma non la qualità».
Tra le problematiche, Ferrari evidenzia anche la scarsa attrattività del lavoro manuale svalutato da un pregiudizio forte della scuola e della famiglia. Si preferisce spingere i giovani verso lavori “puliti”, come quelli impiegatizi, dimenticando che oggi, nelle PMI, non esistono più lavori ripetitivi, ma piuttosto opportunità per sviluppare le proprie capacità.
«Dobbiamo far tornare i giovani ad innamorarsi del lavoro, del sacrificio, del conquistarsi l’autonomia rispetto ai genitori ponendosi non solo degli ideali ma perseguendoli con paziente tenacia – aggiunge Ferrari – noi siamo cresciuti in famiglie dove la fatica quotidiana era valorizzata e guardavamo con orgoglio l’impegno dei nostri genitori. Oggi spesso invece si guardano i social che presentano una realtà artificiale e portano i giovani a cercare scorciatoie che non portano da nessuna parte».
Chiediamo al presidente Ferrari un parere sullo stato di salute dell’impresa manifatturiera.
«L’industria manifatturiera italiana sta affrontando uno dei periodi più complicati della sua storia recente. I dati forniti dal Centro studi nazionale di Confimi sul ricorso alla cassa integrazione parlano da soli: il 20% delle imprese l’ha utilizzata negli ultimi sei mesi, mentre il 26% prevede di farlo nel primo semestre del 2025. Eppure, al di fuori del contesto aziendale, sembra che pochi se ne stiano occupando».
Le parole del presidente di Apindustria Confimi Mantova descrivono una situazione allarmante che rischia di paralizzare uno dei settori principali dell’economia italiana. Prosegue Ferrari: «Oggi si sente molto parlare della crisi del settore automotive e degli obiettivi del Green Deal, ma questi sono solo sintomi di una mancanza di politica industriale. L’Europa sta abbandonando il suo fulcro produttivo: la cultura della manifattura e dell’industria. Così facendo, sta perdendo competitività e si avvia verso l’irrilevanza globale».
Ferrari solleva alcune questioni: «Perché destinare bonus e agevolazioni solo all’ex FIAT? Perché concentrare gli aiuti esclusivamente sull’automotive? E gli altri settori manifatturieri in difficoltà?».
«Bisognerebbe parlare di prevenzione industriale, dando ascolto agli imprenditori che lavorano con una prospettiva rivolta alle generazioni future, anziché a finanzieri e fondi speculativi focalizzati sui dividendi immediati», sottolinea Ferrari. «Questo è un tema che Confimi Industria denuncia da anni, ma che sembra suscitare l’attenzione politica solo quando la crisi è ormai evidente».
A queste difficoltà si aggiunge il peso della burocrazia, che complica l’accesso agli incentivi. «Ogni imprenditore italiano deve confrontarsi con procedure intricate e un sistema amministrativo inefficiente, che rallenta gli investimenti e limita le opportunità di crescita», ricorda il presidente di Confimi Apindustria Mantova.
Francesco Ferrari chiude l’intervista con un invito all’azione: «Per cambiare le cose dovremmo tornare a ragionare come facevano i nostri genitori, utilizzando un superpotere molto svalutato oggi che è il buon senso. La politica pensa sempre al prossimo taglio del nastro e invece occorre lavorare con una visione di lungo periodo perché i risultati importanti sono frutto di un lavoro che inizia oggi. Il motto del 2025 potrebbe essere “fatto è meglio che perfetto” perché tutto è preferibile allo stare fermi e al rimandare decisioni che rischiano solo di compromettere il futuro del Paese».