Calcio – Claudio Grauso: “Bravo Mantova! Con umiltà e fame volerai anche in Serie B”

MANTOVA Anche l’ultimo Mantova sbarcato in Serie B, quello di Fabrizio Lori nell’anno di grazia 2005, era ripartito dallo zoccolo duro protagonista della (doppia) promozione, giusto con qualche innesto mirato. Esattamente come accadrà alla squadra di Possanzini. Tra quegli innesti c’era un giocatore che si è fatto da subito benvolere dalla tifoseria, e che sarebbe rimasto a Mantova per tutte e 5 le stagioni cadette (unico insieme a Notari, Caridi, Tarana, Spinale e Bellodi): Claudio Grauso. Chi meglio del “Piranha” per un autorevole parere sulla strategia di viale Te e sulle aspettative della prossima stagione?
Intanto ben ritrovato, Claudio. Come va?
«Tutto bene, anche se sul piano sportivo sono un po’ deluso dall’eliminazione della mia Juve U16 (che alleno) ai quarti di finale play off. Ma siamo qui per parlare del Mantova, e allora fatemi fare subito i complimenti a tutti per il ritorno in B. Sono felicissimo per la piazza».
Vedi qualche analogia con il tuo Mantova?
«Sul piano del gioco no. Il nostro si basava su tre concetti: intensità, solidità difensiva e capacità di colpire nelle ripartenze. Nel Mantova di Possanzini, invece, è centrale il possesso palla. Mirato a far muovere l’avversario e a logorarlo per poi colpirlo. Quindi mai fine a se stesso. Del resto, il calcio è cambiato rispetto a quando giocavo io: oggi lo studio è più sistematico, ci sono più informazioni. Le stesse richieste ai calciatori sono più elevate».
Secondo te è un gioco che funzionerà anche in B?
«Quando hai una buona organizzazione e giocatori adatti ad applicare sul campo le idee dell’allenatore, il più è fatto. Se un sistema si è rivelato redditizio in C, lo sarà anche in B o in A».
Cosa pensi dell’idea di ripartire dal blocco che si è conquistato la promozione?
«Penso sia la decisione migliore che la dirigenza del Mantova potesse prendere. Quando una cosa funziona è meglio non cambiare».
Qualche volto nuovo comunque arriverà. Che consigli puoi dargli, sulla scorta della tua esperienza?
«Chi si inserisce in un meccanismo così ben oliato deve farlo con entusiasmo e umiltà. Voglia di mettersi in gioco e al servizio della squadra, mettendo da parte ogni individualismo. Così feci io e tutti quelli che arrivarono insieme a me: Brambilla, Sacchetti, e tutti gli altri. E pensare che non volevo nemmeno venire al Mantova…».
Qui è il momento di riavvolgere il nastro. Raccontaci…
«Giocavo in Serie A col Livorno da 5 anni, e quella A me l’ero conquistata partendo dalla C1. Stavo benissimo, mi trovavo alla grande con mister Donadoni, anche sul piano privato tutto filava liscio. Mi arrivò una super offerta del Mantova, ma io non volevo scendere in B. Andai da Spinelli (allora presidente del Livorno, ndr) che mi chiese quanto mi offriva il Mantova. Gli dissi la cifra e lui sobbalzò: “Belìn ma cosa ci fai ancora qui? Accetta!”. E accettai».
Non dev’essere stato facile per te trovare le motivazioni…
«Al contrario. Io sono arrivato a Mantova con un solo obiettivo: riconquistare la A. Ero motivatissimo. Pensate che quando facevo i giri di riscaldamento prima delle partite, mi immaginavo che quel match l’anno successivo l’avrei giocato in Serie A. Col Mantova. Questo mi dava una carica eccezionale. È questo l’atteggiamento che ogni giocatore che indosserà la maglia biancorossa il prossimo anno dovrà avere».
Purtroppo la A non arrivò…
«È una ferita aperta. Vissi malissimo il post-Torino, anche se poi ritrovai le motivazioni giuste per la stagione successiva, molto stimolante per la presenza di Juve, Napoli e Genoa. Poi, nella mia terza stagione all’Acm, mi ruppi il crociato e da lì in poi non sono più riuscito a tornare ai miei livelli».
Degli allenatori che hai avuto a Mantova, con chi ti sei trovato meglio?
«Ne cito tre: Di Carlo, Tesser e Serena».
Tornando al Mantova di oggi, c’è qualche giocatore che ti ha sorpreso?
«Fiori. Non lo conoscevo e mi ha impressionato. Azzardo un paragone: quasi quasi ricorda Caridi. Ha tecnica, ma anche concretezza. E poi voglio citare Trimboli: è uno di quei giocatori “silenziosi”, che piacciono tanto a me. Magari poco appariscenti ma fondamentali per l’equilibrio di una squadra».
Questo Mantova può ben figurare anche in B?
«Certo! A patto, come dicevo prima, che mantenga lo stesso entusiasmo e la stessa umiltà che hanno fatto la differenza quest’anno. Poi, è chiaro, ci vuole pure la fortuna. Soprattutto all’inizio».
Perchè all’inizio?
«Perchè partire bene è molto importante. Anzi, direi determinante. Se perdi le prime partite, poi subentrano paure, insicurezze, malumori. E la magia svanisce. Se invece parti bene, diventa tutto più facile: i tifosi ti danno una spinta formidabile, l’ambiente si carica e ogni traguardo è possibile. È esattamente quello che ci successe nel 2005».
Ti sarebbe piaciuto giocare in questo Mantova?
«Più che altro mi piacerebbe prendere la macchina del tempo per una sfida tra il “mio” Mantova e quello attuale».
Chi vincerebbe?
«Mah. Mi immagino un 70% di possesso palla a loro favore. Poi però, al primo errore, segniamo noi. Eravamo uno squadrone, sai?».
Legittimo orgoglio.

Gabriele Ghisi