MANTOVA «Avrei pagato per giocare in questo Mantova, altrochè». L’attestato di stima arriva da uno che il Mantova ce l’ha veramente nel cuore, perchè in viale Te è cresciuto, da lì è partito per una grande carriera tra B e C, ed infine è tornato per riportare i biancorossi tra i professionisti a suon di gol: Cristian Altinier. Il “bomberino” da un anno ha appeso gli scarpini al chiodo, intraprendendo la carriera di direttore sportivo al Villafranca (Eccellenza). Ma, quando si tratta di parlare del Mantova, non si tira indietro.
Cristian, cosa ne pensi dell’impresa della “tua” Acm?
«Sono stupito e ammirato. Stupito perchè nessuno, credo nemmeno loro, si aspettava una cavalcata simile. Ammirato perchè creare in così poco tempo un giocattolo perfetto è qualcosa di clamoroso. Roba da scriverci un libro. Davvero complimenti a tutti».
Cosa ti ha colpito di più?
«A parte il gioco, mi ha colpito come il Mantova ha vinto. Non solo sul campo, ma anche fuori. Lo ha fatto con l’umiltà dei grandi: mai una polemica, mai una dichiarazione sopra le righe. La definirei una vittoria con stile».
Quando hai intuito che l’impresa era possibile?
«A novembre. Ho capito che c’erano tutte le condizioni: una squadra ben allestita e amalgamata, un allenatore con delle idee. Il Mantova dominava il gioco, segnava tanto e prendeva pochi gol. Inoltre si era creato un entusiasmo incredibile attorno alla squadra. E aggiungo: non c’era la pressione che potevano avere piazze come Padova, Vicenza e Trieste».
Il 5-0 di Padova ha fugato ogni dubbio?
«Sì, da lì in poi c’è stata più storia. Il 5-0 di Padova è stato qualcosa di leggendario, un’autentica lezione di calcio. Dopo quel risultato, il Padova non avrebbe mai potuto riprendere il Mantova».
Dunque avresti pagato per giocare in un Mantova così?
«Sicuro! Dico di più: c’è una sana invidia da parte mia per non poterlo fare. Anche perchè dentro mi sento ancora un calciatore».
Cosa occorre per fare bene anche in B?
«Non stravolgere nulla. Ovviamente qualche innesto ci vuole, ma l’impianto deve rimanere quello, così come il metodo di lavoro. In questo senso la conferma di Possanzini è basilare. Del resto, è lo stesso Mantova di 20 anni fa a dimostrarlo».
In che senso?
«Anche allora dalla C alla B non furono compiute rivoluzioni. Stesso allenatore, qualche innesto di grande valore (Grauso, Brambilla, Sacchetti)… e per poco non andammo in Serie A».
Altre analogie con quel Mantova?
«Mi vien da dire la solidità della società. E ancora: un allenatore emergente e con un’idea di gioco (allora era Di Carlo, ndr), anche se quello era un calcio diverso. Giocatori che, a parte qualche eccezione, non avevano mai fatto la B e quindi “affamati”. E naturalmente l’entusiasmo della piazza».
Veniamo a te. Come hai vissuto il primo anno da dirigente?
«Smettere di giocare non è stato facile. Però il momento era arrivato. Devo dire che questa prima esperienza al Villafranca mi è servita per calarmi in un ruolo diverso».
Sarà la tua strada?
«Sì, almeno nell’immediato. Ho conseguito il patentino da ds ed è in questa veste che voglio mettermi alla prova. Non so ancora se a Villafranca o altrove, questo lo vedremo nelle prossime settimane».
Ti vedi un giorno di nuovo a Mantova?
«Al Mantova ho dato tanto, forse più di quel che ho ricevuto (e non mi riferisco certo all’affetto della gente). Il mio rapporto con l’Acm è sempre stato una rincorsa continua. Chissà».