MANTOVA Diciamolo subito: quello dei Greta Van Fleet l’altra sera è stato un concerto come raramente capita di vedere in piazza Sordello e dintorni (e tra i dintorni mi viene in mente Palazzo Te con Iggy Pop nel 2022 e molto più indietro nel tempo i Primus all’ex psichiatrico nel 1991). Che si trattasse di una serata benedetta lo si è capito dal fatto che il maltempo annunciato non s’è fatto vedere, ma anche se non soprattutto dall’esibizione degli Amazons che ha scaldato una platea in fibrillazione già dal mattino per l’attesa di vedere i Greta Van Fleet. I tre fratelli Josh, Sam e Jake Kiszka con il batterista Danny Wagner sono saliti sul palco alle 21.36 e hanno attaccato con The falling sky dal loro ultimo album Starcatcher; un inizio incendiario nel vero senso della parola, con tanto di fiammate sul finale. Quella delle fiamme e di qualche fuoco artificiale insieme al lancio di un paio di dozzine di rose bianche sul pubblico, sono state le poche concessioni alla spettacolarità tout court. Il resto del concerto è stato incentrato soprattutto sulla musica del quartetto americano.
Già perché i Greta Van Fleet a Mantova hanno soprattutto suonato e lo hanno fatto dal vivo, praticamente senza loop, sequencers e basi pre-registrate. E se Josh Kiszka si è preso la scena da vero front man grazie alla sua voce, il concerto ha vissuto anche lunghi momenti strumentali come nel medeley di Highway tune (una delle poche concessioni a un passato tutt’altro che remoto) e in The Archer, brani durante i quali gli altri tre compnenti hanno avuto modo di mettere in mostra le proprie capacità. In particolare il chitarrista Jake Kiszka ha dimostrato che per reggere palchi di questo genere e un tour mondiale non serve essere mostri di tecnica ma piuttosto mostri di bravura. Il paragone dei Greta Van Fleet con i Led Zeppelin resta, ma per motivi più che superficiali (Sam Kiszka che si alterna tra basso e tasiere; la voce di Josh che ricorda quella di Robert Plant, ma anche il Geddy Lee dei Rush). I quattro di Frankenmuth, Michigan, hanno dimostrato, se ce ne fosse stato ancora bisogno, di avere una propria personalità e un proprio percorso verso un genere che li definisce in maniera peculiare, come è apparso chiaro a livello “sonico” nella splendida e conclusiva Farewell for now. L’impressione che è rimasta è stata quella di avere ascoltato più che visto una band che per due ore ha suonato dal vivo, eseguendo versioni dei loro brani inedite rispetto sebbene simili da quelle dei dischi. Un concerto in stile hard rock anni 70 con giochi di luce, fumogeni e fuochi, per l’occhio che vuole la sua parte, ma anche tant musica, per l’orecchio che pretende il resto. Lo hanno capito i tanti ragazzini accorsi da tutta Italia e non solo per assistere a uno degli eventi di questa estate di concerti, molti di loro accompagnati dai genitori che hannoa assistito a uno degli eventi di questa estate di concerti. Probabilmente non hanno mai visto niente del genere, e nemmeno i loro genitori
Carlo Doda