Le poesie e il cappone tra i tesori di San Giacomo

MANTOVA Già il nome è da poesia: delle Segnate. Non solo “San Giacomo”, che di suo parrebbe già molto evocativo, ma pure “delle Segnate”, attenti gente, delle Segnate. Come riportano le fonti, Segnate probabilmente dall’uso dei Longobardi di segnare gli alberi del territorio. Paese di sapori e di versi, luogo di adunanze per assaggiare tipicità mantovane come le cappone in vescica, fatto dall’impareggiabile Raffaella Gangini, ricordando Gianfranco Cantadori, alla Casella, e paese di riunioni poetiche come quando autori illustri e giovani debuttanti del verso si trovavano a Ca’ di Pom a dire e a declamare. Mica poco.

Di venerdì sera, solitamente, s’illuminava di più la bella Ca’ di Pom, a San Giacomo delle Segnate. Perché accanto alle mostre e alle musiche, accanto alle mele e alle tele e alle sculture e alle anatre e alle pietre, ai giarun, arrivava la poesia. Una bella piega abbondantemente poetica e letteraria solitamente di primavera quando l’aria stuzzica nuovi sentimenti ed inedite emozioni con un ritrovo tra l’agreste e l’artistico. Bei ricordi, grande suggestione tra un calice e un qua-qua dell’anatra che saliva o scendeva dal laghetto. C’era tanta attività di primavera estate del Centro culturale Ca’ di Pom di San Giacomo, con risoluzione voluta dall’allora direttore della Fondazione Bam Graziano Mangoni e premurosamente organizzata e gestita con il Comune di San Giacomo e l’Associazione Culturale Sangiacomese. Poesia e cultura a San Giacomo, dunque. Accoglieva ed invitava a cominciare, con Mangoni, Gianfranco Lodi: nomi e cognomi che fanno del bene alla cultura mantovana.

Poeti noti tra pensiero, gioco e spiritualità, e anche giovani poeti mantovani tra edito ed inedito. Impressionante come Emily Pigozzi, ad esempio, lanciasse epicamente i suoi versi con la forza della comunicazione emozionale. Si scopriva piano Nicola Baldini che quasi si lacerava nella scelta della poesia da leggere ma che poi si vedeva che si innamorava della parola, della sua rincorsa, del suo rumore. Romantica e “in pagina” Mirna Quasimodo che leggeva versi che diventavano in un attimo l’inevitabile specchio per ognuno di noi. Archeologo di professione e anche nella poesia Davide Longfils, con i suoi strati di versi, apparentemente timido e triste, sotto sotto deciso e tenero, nei ricordi ma anche nelle pulsioni. Il tutto animato e intarsiato da Alberto Cappi, poeta, saggista e traduttore, con decine di opere in scaffale e da me, sul comodino, come gli dissi. Passarono di qui, dal palco poetico di San Giacomo, Stelio Carnevali, don Ulisse Bresciani, don Benito Regis, e poi Mario Benfatti, Pompeo Benfatti, Romano Boccadoro, Gilberto Cavicchioli, Gaetano Adamo Cordioli, Giuliana Maglia, Giorgio Pavesi.

Che ricordi, quella volta quando l’anatra squaqqueggiò in un verso poetico rendendolo quasi più futuristico. Quei poeti a San Giacomo, un bella esperienza in tempi di reality incipienti e fantasmi di idee, in tempi di affannati, corruttori della parola. Le poesie e i poeti fanno bene alla salute perché scoperchiano ricordi, cavalcano emozioni, ti fanno pensare un po’, ti fanno diventare più amiche le parole, ti fanno scegliere come parlare e magari parlare meno e quindi meglio. Forse. Sicuro.

Mentre la Quasimodo cercava, nel suo “magma”, spinte ed emozioni ma anche dolori e bagliori di felicità, la Pigozzi giocava tra dimensioni e termini, troncando a volte il sentimento ottenendone immagini ad effetto. Baldini e Longfils facevano anche giocare e rincorrere le parole tra loro, dove il fiume in Baldini diventava “rossano” divoratore e in Longfils c’era la commozione di un ricordo lavando piatti. Più poesia di così. Ma sentite come suona questo verso di Alberto Cappi: “Crocchia nella tazza la mandibola del tuono”. E poi anche: “Oscuramente la notte si solleva sopra i ponti. Sono resti di legame, briciole di fame”. (Da la Casa del Custode, I Quaderni del Battello Ebbro). Perché fa bene alla salute passare da San Giacomo delle Segnate per gustare i sapori, per visitare monumenti e per ricordare in gruppo o da soli il valore della poesia. A proposito di poesia, l’altro giorno a Bologna ho visto questa scritta su una saracinesca: “Scrivo poesia perché non so spiegarmi a parola”. Poi una serie di cancellazioni ad arte su “perché”. “so”, “spiegarmi”. “a” e il risultato era: “scrivo poesie non parole”. Già!
Fabrizio Binacchi