NOVELLARA/GONZAGA «Voglio parlare per rendere giustizia a mia sorella. Da quando è successa questa roba ho tenuto tutto dentro, ogni giorno soffro e mi voglio liberare. La notte non riesco a dormire». A dirlo, ieri innanzi ai giudice della Corte d’Assise di Reggio Emilia, Alì Haider, fratello di Saman Abbas, la giovane sparita da Novellara il 1° maggio del 2021 e ritrovata senza vita nel novembre del 2022. In un’udienza fiume, il giovane ha infatti proseguito la propria audizione rispondendo alle domande dell’avvocato Liborio Cataliotti, difensore dello zio, Danish Hasnain, uno dei cinque imputati per l’omicidio della 18enne pakistana, unitamente ai genitori della vittima, Shabbar Abbas e Nazia Shaheen, e ai cugini Ikram Ijaz e Nomanulhaq Nomanulhaq.
Il ragazzo, escusso in qualità di indagato da dietro un paravento per evitare qualsiasi contatto visivo con i parenti alla sbarra, si è quindi soffermato in primis sulla questione dell’allontanamento da Novellara nei giorni successivi alla scomparsa della sorella. «Lo zio Danish mi disse di prendere gli abiti, che misi in uno zaino, poi andai a casa sua. Lì papà chiamò mio zio, che gli disse: “Adesso noi scappiamo, sono stati presi i telefonini e si sono accorti”.
Ma mio padre disse di rimanere lì e Hasnain ribattè: “Tu sei in Pakistan e non hai problemi, ma qui in Italia prendono noi”. Io volevo rimanere qui – ha continuato – ma mio zio mi disse che mi sarei fatto nuovi amici. Così il giorno dopo siamo partiti in bici da casa di mio zio, abbiamo evitato le telecamere, siamo arrivati fino a Gonzaga e poi da lì abbiamo preso il treno per Modena. Quindi siamo ripartiti per Como, dove abbiamo passato la notte da un conoscente, per poi dirigerci a Imperia». Arrivati nella città ligure il 9 maggio 2021 il gruppo venne però fermato per un controllo dalla polizia: qui il ragazzo fu individuato, portato in questura e poi trasferito in una comunità. Lo zio invece riuscì a lasciare l’Italia insieme ai cugini e i tre furono poi arrestati nei mesi successivi tra Francia e Spagna.
Proseguendo nel proprio racconto il 18enne si è quindi soffermato sul ruolo avuto da alcuni parenti non imputati che nelle intercettazioni lui stesso definisce “il cane e il cane coi baffi”: Irfan Amjad e Zaman Fakhar. «Venivano a casa nostra e davano consigli brutti su cosa fare con la figlia che si comporta in un certo modo: per me quei parenti sono più colpevoli di Noman e Ikram, che hanno fatto questa cosa per rispetto, hanno aiutato lo zio», ha aggiunto il giovane in un altro passaggio replicando alle domande dell’avvocato Cataliotti in riferimento ai cugini imputati. E ancora: «Sono cresciuto come ha voluto la mia famiglia, ma adesso mi sento italiano», rispondendo alla domanda sul motivo per cui inviò ai parenti la foto della sorella che baciava il fidanzato: “Da piccolo i miei genitori mi hanno insegnato che non si poteva fare amicizia con le ragazze. Per questo ho mandato la foto del bacio di Saman ai miei parenti. In quel momento avevo la loro stessa mentalità, per me era una cosa sbagliata.
Ma ora tutto è cambiato, da quando sono in comunità. Mi sento di essere italiano. Ora penso che hanno fatto una cosa sbagliatissima». Shabbar Abbas invece, presente in aula ma non escusso, avrebbe riferito ai propri legali di non aver ucciso sua figlia ma di essere sicuro che l’omicidio sia avvenuto in ambito familiare.