Forse era amore, di sicuro non era truffa: assolta la ballerina del night

MANTOVA  Si erano conosciuti in un locale notturno dove lei lavorava come ballerina di lap dance. Da quell’incontro era quindi sorta una tenera amicizia sfociata a stretto giro in un rapporto sentimentale vero e proprio. Ma stando all’iniziale ricostruzione investigativa la donna, di una ventina di anni più giovane di lui, facendo leva sulle evidenti fragilità emotive e cognitive del “fi d a n z a t o” – come poi appurato altresì da un’apposita perizia di parte – avrebbe però ben presto iniziato a sfruttarlo e a spremerlo alla stregua di un “bancomat”; fino al novembre del 2018 quando, su consiglio dei familiari, era scattata la denuncia da parte della presunta vittima, ormai disperata. Circa l’ipotesi di truffa aggravata – in concorso con altri due soggetti, già giudicati e mandati assolti con rito abbreviato – era così finita a processo, un paio di anni fa, una quarantenne rumena all’epoca domiciliata nel Mantovano. La vicenda, secondo il quadro accusatorio, avrebbe avuto avvio nel 2012 quando in un night club di Poviglio, in provincia di Reggio Emilia, ci sarebbe stato il primo, fortuito, incontro tra i due. In breve, a fronte di una paventata relazione amorosa solo in apparenza ricambiata dall’accusata, la stessa avrebbe convinto l’uomo, un 60enne operaio magazziniere residente nell’hinterland cittadino, a sostenerla economicamente con continue elargizioni di denaro. Una situazione, sempre per gli inquirenti, protrattasi per circa sei anni, fino all’entrata in gioco degli altri accusati, nello specifico un collega di lavoro della vittima e un suo amico; i due infatti, fingendo di aiutare il 60enne a trovare una nuova sistemazione lavorativa anche per la fidanzata, gli avrebbero proposto a tal fine un “affare vantaggioso”, arrivando però a spillargli nel tempo decine di migliaia di euro, fino alla totale dilapidazione del proprio patrimonio. In apertura d’istruttoria, innanzi al giudice Gilberto Casari, era stato chiamato a deporre anche il consulente incaricato dai congiunti della persona offesa, costituitasi parte civile, di redigere un accurato profilo psichico e psicologico della stessa, all’esito del quale era emerso un suo deficit cognitivo acuto unitamente, a seguito di tale vicenda, a un disturbo da stress postraumatico. Mentre nel corso dell’ultima seduta dibattimentale era stata la stessa accusata – difesa dall’avvocato Silvia Salvato- a rendere la propria versione, respingendo ogni addebito e in sostanza asserendo di amare realmente quell’uomo. «Siamo davanti a una truffa sentimentale con tutti i crismi», ha sostenuto in arringa il legale di parte civile (che per il proprio assistito ha invocato anche un risarcimento del danno quantificato in 19.500 euro nonché altri 10mila a titolo di provvisionale); ipotesi però per il pubblico ministero, non suffragata al contrario da elementi oggettivi atti a confutare, oltre ogni ragionevole dubbio, la penale responsabilità della donna con conseguente richiesta assolutoria per insufficienza di prove. Circostanze confermate in sentenza pure dal giudice che ha scagionato con formula piena l’imputata perché il fatto non sussiste.