Mantova Violenze in serie e soprusi a cadenza pressoché quotidiana. Questo, stando all’ipotesi accusatoria, quanto fatto patire per diversi mesi a una giovane dall’allora compagno, un quarantenne cittadino magrebino di Ostiglia, finito poi in manette poco meno di un anno fa per maltrattamenti in famiglia e lesioni. Uno scenario, afferente reiterate vessazioni e costrizioni perpetrate in ambito domestico, approdato alla fine in tribunale e rievocato ieri in aula, con estrema sofferenza, proprio dalla presunta vittima, non costituitasi però parte civile al processo e attualmente ospitata in una comunità protetta. Segnatamente, le contestazioni ascritte all’imputato, per tale vicenda sottoposto dapprima alla custodia in carcere e quindi ai domiciliari con braccialetto elettronico oltre alla misura del divieto di avvicinamento alla persona offesa, risalirebbero al periodo compreso tra l’ottobre 2023 e il 7 marzo 2024, data quest’ultima in cui l’uomo era stato infine arrestato in flagranza di reato dai carabinieri. A far scattare l’intervento dei militari dell’Arma era stata proprio la ragazza, esasperata dalla situazione d’inferno cui sarebbe stata costretta a vivere. «Mi picchiava, insultava e minacciava di morte ogni giorno – ha raccontato la teste quasi in lacrime innanzi al giudice Raffaella Bizzarro -. Se non erano schiaffi, calci e pugni mi tirava addosso qualsiasi tipo di oggetto che trovava a portata di mano. Ad esempio vasi di vetro o di legno che più di una volta mi avevano procurato tagli e ferite. In ospedale mi chiedevano come me li fossi procurati e io, anziché dire la verità, accampavo sempre scuse per paura di sue ritorsioni». Episodi contemplanti altresì, oltre alle percosse e alle offese pure numerosi divieti, come quello di non poter uscire se non per andare a fare la spesa e per recarsi al lavoro. «Vivevo praticamente segregata in casa – ha proseguito la parte lesa – salvo quelle occasioni in cui mi portava con lui per fargli da corriere della droga. La sua occupazione era infatti lo spaccio di stupefacenti e, per non farsi beccare mandava avanti me, “tanto alle donne non fanno mai niente” mi ripeteva» E se non ubbidivo o sbagliavo qualcosa mi sbatteva per punizione in giardino impedendomi di rientrare nonostante le mie suppliche, oltre a minacciarmi con coltelli o forbici. “Ti cavo gli occhi, devi morire”, soleva dirmi». Prossima udienza il 9 aprile.