MANTOVA Per circa tre anni avrebbe perseverato in condotte vessatorie e violente perpetrate, in ambito domestico, nei confronti della propria moglie. Sul banco degli imputati, per le ipotesi di maltrattamenti in famiglia e lesioni personali aggravate, è così finito un cinquantenne italiano residente in un comune dell’hinterland cittadino.
Nello specifico i fatti a lui addebitati, rievocati ieri in aula dalla stessa persona offesa, risalivano al periodo compreso tra il 2017 e il 2019. Un arco temporale in cui l’uomo, stando sempre all’ipotesi inquirente, si sarebbe reso responsabile di numerosi episodi maltrattanti. Dapprima tramite offese, ingiurie e angherie varie per poi passare a vere e proprie aggressioni fisiche in serie. Il tutto condito da minacce, anche di morte. Fino alla denuncia presentata dalla presunta vittima ai carabinieri e l’avvio delle indagini per l’ennesimo caso mantovano di “codice rosso”.
«Mi considerava una poco di buono, sia come compagna che come madre – ha raccontato la donna in aula -. Di tutto quello che facevo non gli andava mai bene niente. Per questo gli insulti nei miei confronti erano diventati all’ordine del giorno. Inoltre, sosteneva che lo tradissi con altri uomini, ma quello che intratteneva relazioni extraconiugali, almeno un paio, in realtà era lui». Un escalation di violenza, quindi, da verbale via via degenerata oltremodo, e arrivata addirittura a coinvolgere pure il figlio adolescente della coppia. «Una volta nel tirarmi un calcio mi ha rotto un polso – ha proseguito la teste – mentre in un’altra circostanza mi ha fratturato un dito con un morso. Per non parlare infine di quando, al culmine di un litigio, mi ha chiuso una mano nella portiera dell’auto. Inoltre, era riuscito a plagiare nostro figlio, all’ epoca 15enne, mettendolo contro di me». Il ragazzo infatti, stando agli atti processuali e alle parole della teste, prendendo in una circostanza le difese del padre si sarebbe scagliato contro la madre colpendola con un pugno in pieno volto. Il prossimo 24 giugno toccherà invece all’accusato rendere, innanzi al collegio dei giudici, la propria versione dei fatti.