MANTOVA Undici condanne e cinque assoluzioni. Questo quanto statuito ieri, dopo tre giorni di camera di consiglio, dal collegio giudicante nei confronti dei 16 imputati del processo di ‘ndrangheta “Grimilde” instaurato con rito ordinario a Reggio Emilia. Un verdetto che ha visto infliggere condanne per complessivi 55 anni di carcere, a fronte dei circa 120 chiesti dal pubblico ministero della Dda di Bologna Beatrice Ronchi. Nel complesso comunque l’impianto accusatorio ha tenuto, così come l’aggravante del metodo mafioso, caduta per molti reati ma il cui riconoscimento ha portato a comminare condanne per 45 anni sul totale delle pene emesse. Passando alle singole posizioni, Francesco Grande Aracri, fratello dell’ex boss di Cutro Nicolino e ritenuto dalla pubblica accusa il “simbolo della ‘ndrangheta in Emilia” è stato condannato a 19 anni e 6 mesi (contro i 30 richiesti). Suo figlio minore Paolo invece ha rimediato 12 anni e 2 mesi (contro i 16 anni e mezzo chiesti). Per Gaetano e Domenico Oppido, padre e figlio, che avevano ordito una maxi truffa da 2,3 milioni al ministero delle Infrastrutture, si aprono le porte del carcere, rispettivamente, per 6 anni e mesi e 3 anni e 8 mesi. Per quanto concerne invece i tre imputati mantovani, tutti residenti a Viadana, Giuseppe Passafaro è stato condannato ad un anno e 4 mesi con sospensione condizionale della pena, oltre a 400 euro di multa; mentre nei confronti dei figli Pietro e Francesco Paolo sono state determinate pene, per entrambi anch’esse sospese, rispettivamente di 2 anni e 1 anno e 4 mesi. Nei confronti di tutti e tre i giudici hanno escluso l’aggravante dell’agevolazione mafiosa così come avanzato dai loro difensori, gli avvocati Enrico Zamparelli e Alessandro Di Palma, che per i propri assistiti avevano richiesto l’assoluzione citando la sentenza d’appello “Grimilde” in abbreviato che aveva visto escludere tale aggravante in capo a uno dei principali imputati di detto altro filone, Salvatore Grande Aracri. Ingenti le entità dei risarcimenti alle parti civili.