Lirica: quattro chiacchiere con Alessandra Visentin

(credit Sabrina Ghini)

MANTOVA La vocalità pastosa e duttilissima è quella forgiata nelle prestigiose fucine di Bernadette Manca di Nissa e Regina Resnik e affinata alla scuola della conterranea Sara Mingardo. Un connubio di radici, talento e fuoco che hanno fatto di Alessandra Visentin una delle personalità più affascinanti del panorama lirico attuale, capace di attraversare con pari autorevolezza secoli di letteratura musicale, dal repertorio settecentesco, che l’ha proiettata sui palcoscenici dei maggiori teatri del mondo, fino alle prime nazionali e mondiali del Novecento inoltrato di compositori come Knussen, Marzocchi e Garcia Demestres. L’abbiamo incontrata in occasione del suo ultimo esito discografico, dedicato a Respighi.

Quella appena conclusasi è stata, per Lei, un’annata davvero straordinaria, consacrata con la Sua partecipazione al docufilm Higher than Acidic Clouds, realizzato dal regista iraniano Ali Asgari e presentato, lo scorso novembre, all’IDFA International Documentary Film Festival di Amsterdam, il più grande festival di documentari al mondo, e, successivamente, al Torino Film Festival. Com’è stato prestare la Sua voce per questo magnifico progetto?

Prima della proposta di Ali Asgari non avevo mai pensato che la mia voce potesse essere inserita nella colonna sonora di un film: è stato un evento del tutto inaspettato.
Alla prèmiere dell’Idfa ho provato una grande emozione: la maestria con cui un regista del calibro di Asgari è riuscito a fondere perfettamente le immagini con la voce, mi ha lasciato senza parole e mi ha commosso.
Non ero riuscita a vederlo prima della proiezione ad Amsterdam e bramavo dalla curiosità di capire come avesse coniugato il racconto con la musica.
Questo docufilm parla della storia di Ali, vive delle sue emozioni e dei suoi pensieri e il fatto che abbia scelto la mia voce per raccontarli per me è straordinario.
Sempre lo scorso novembre, Il Suo recente disco dedicato a Respighi è stato presentato negli Stati Uniti, alla Carnegie Hall, in un trionfale concerto – diretto da Salvatore di Vittorio – che ha aperto la Stagione 2024/2025 della Chamber Orchestra di New York. Ci racconti le emozioni di quella serata per Lei memorabile.

Non dimenticherò sicuramente questo concerto… È tra le tappe più importanti della mia strada, quelle che si portano nel cuore perché rappresentano la realizzazione di un progetto importante e, perché no, anche di un sogno.
Quando ho iniziato a studiare canto mi ero prefissata tre sale in cui un giorno, lavorando duramente, avrei voluto cantare: il Teatro alla Scala, il Musikverein di Vienna e la Carnegie Hall di New York. Ecco quella ragazzina ora può ritenersi soddisfatta perché è riuscita a portare a compimento il disegno che aveva in testa e ad esibirsi in tutte e tre. Forse addirittura andando oltre alle aspettative perché una standing ovation alla Carnegie è davvero qualcosa di grandioso.
Inoltre, il concerto a New York ha segnato il culmine di un sodalizio artistico iniziato un po’ di anni fa con il Maestro Di Vittorio e la Chamber Orchestra di New York. Ci lega oltre alla stima professionale anche un grande affetto. E quella sera mentre ero su quel palcoscenico ho sentito tutto il loro calore e tutta la loro voglia di far musica con me: quand’è così, quando le cose si vivono con quell’energia, il concerto non può che essere un trionfo.

Facciamo un salto indietro nel tempo. Nel 2022, la Italian Academy Foundation Inc. l’aveva riconosciuta come una delle massime esponenti dell’italianità, individuando nel Suo timbro brunito di contralto una sorta di identità rappresentativa della nostra civiltà musicale. Che importanza ha avuto, quell’attestazione, nel Suo percorso di artista e di interprete?

L’ Italian Academy Foundation è una sorta di organo di diplomazia culturale tra Stati Uniti ed Italia, fondato nel dopoguerra, di grande tradizione.
Posso dire innanzitutto che non posso che esserne orgogliosa e che il valore di quell’attestazione sta proprio nel prestigio dell’istituzione stessa.
È avvenuta durante un’annata di successi in America: la registrazione alla Naxos con una sessione di prove aperta al pubblico al Di Menna Center for Classical Music di New York, un recital a New York per “The American Friends of Teatro alla Scala”, la nomina tra i giurati del premio internazionale dedicato a Respighi presso la Carnegie Hall, il debutto al Grand Warner Bros. Theatre sotto la guida di Ken David Masur (figlio di Kurt) e il debutto alla Carnegie Hall cantando i celebri larghi di Handel. Insomma, un 2022 speciale…

Oggi, questo prezioso ascolto dedicato a Respighi – curato e restaurato, su invito personale delle pronipoti del compositore bolognese, dallo stesso Salvatore Di Vittorio – Le ha dato l’occasione di confrontarsi con una delle figure più significative del primo Novecento italiano. Un percorso denso di fascino che si apre con la Berceuse P. 38, toccante ninna nanna per archi composta nel 1902, e che conduce alle Tre Liriche, P. 99a: Notte e Nebbie su testi di Ada Negri, e Pioggia, su testo di Vittoria Aganoor Pompilj. Com’è avvenuto l’approccio a queste miniature così sottili e complesse sia nella scrittura musicale, così evocativa nell’opalescente tavolozza di colori, che in quella poetica?

Avevo già cantato delle liriche di Respighi ma solo con l’accompagnamento del pianoforte che sicuramente facilita la possibilità di giocare con i colori e con gli effetti vocali, come i filati, che permettono delle dinamiche più intime.
Con l’orchestra invece tutto cambia, soprattutto la sonorità che si può utilizzare. Ho cercato, per quanto possibile rispetto all’organico orchestrale, di bilanciare il suono in modo da poter scolpire ogni parola e non perdere così l’identità da camera di questi pezzi. Il rispetto per il testo per me è fondamentale.
La musica vocale da camera è sempre stata una delle mie grandi passioni, da quando ho iniziato a studiare canto e continua ad avere un ruolo importante nei miei impegni.
Pensi che Notte è stato uno dei pezzi con cui mi sono diplomata in canto al Conservatorio di Milano e che alla finale del Concorso Internazionale di Musica Vocale da Camera di Conegliano, nei miei esordi, avevo cantato anche Respighi…
E ora ho registrato in prima mondiale le Tre Liriche… Chi l’avrebbe mai detto!

Per questo trittico, il lavoro di fine tessitura nel completarne l’orchestrazione – qui presentata in prima mondiale – ha visto il M° Di Vittorio impegnato nel duplice ruolo di “sarto”, chiamato a rammendare la tela respighiana, e di direttore. Com’è stato lavorare insieme? Cosa porterà con sé di questa collaborazione?

Lavorare con il Maestro Di Vittorio è stata una tra le esperienze più significative del mio percorso di interprete, non solo dal punto di vista artistico ma anche umano.
C’è stata grande sintonia sin dall’inizio, forse per la grande stima ed il profondo rispetto che abbiamo l’uno per il lavoro dell’altro.
Tutto ciò ha portato ad una grande amicizia che lega non soltanto noi ma ora anche le nostre famiglie.
Nel ruolo di “sarto” Di Vittorio è pazzesco, è un profondo conoscitore delle partiture di Respighi, veramente nei minimi dettagli. Ha dedicato un tempo e una dedizione incredibile ai lavori respighiani, credo che potrebbe dirigere questa musica ad occhi chiusi.
Incarna una rarità poiché è sia compositore che direttore ed è stato affascinante vederlo in azione durante le registrazioni del disco: la minima imprecisione veniva colta in una frazione di secondo.
La nostra collaborazione continuerà sicuramente, abbiamo nel cassetto altri progetti.
Tra le cose più interessanti, un ciclo di arie edite da Ricordi che il Maestro Di Vittorio ha composto per la mia voce e che mi ha dedicato.

Se, in questi quadretti, sono il ripiegamento intimista, la sottrazione, la pennellata evocativa a fare da cifra distintiva, più ampio è il respiro che si ritrova ne Il tramonto, su testo di Shelley tradotto da Roberto Ascoli, e nell’impervia Aretusa, P. 95, completata nel 1911.

Sì, questi due brani hanno un carattere decisamente contrapposto rispetto alle Tre Liriche.
La scelta di inserirli è avvenuta per due ragioni in particolare: de Il tramonto sono rarissime le incisioni fatte con l’orchestra, in genere si esegue col quartetto d’archi, mentre di Aretusa esiste, o diciamo pure, esisteva fino all’uscita del nostro disco Naxos, solo un’incisione di Janet Baker con la London Symphony Orchestra ma molto datata. Si tratta di un pezzo, da un punto di vista tecnico vocale e musicale, decisamente complesso e con un organico orchestrale molto grande. Posso dire che è stata una vera e propria sfida…

Insieme a queste gemme, a spiccare, nel CD edito da Naxos, è l’orchestrazione, firmata da un giovane Respighi e restaurata da Di Vittorio, del monteverdiano Lamento di Arianna, unico frammento sopravvissuto della seconda opera del compositore cremonese, che la Sua interpretazione rende canto accorato e fiammeggiante. Un suggello perfetto, per la Sua voce cresciuta in terra barocca e poi progressivamente approdata alla produzione ottocentesca e novecentesca. In un certo senso, un ponte ideale che la stessa figura di Respighi Le consente di incarnare alla perfezione

Forse i brani di questo disco raccontano proprio la mia storia vocale… O meglio, raccontano quel che la mia vocalità ha percorso negli anni.
Il Lamento di Arianna di Respighi è in un certo qual modo la sintesi tra l’universo barocco presente nella linea del canto e la pienezza di un’orchestrazione dei primi del ‘900. La sobrietà stilistica monteverdiana si fonde con la pienezza della scrittura respighiana. Quindi la scelta interpretativa non ha potuto non tener conto di questi due aspetti e ho cercato di trovare un compromesso tra la prassi esecutiva barocca con le sue messe di voci e i suoi effetti stilistici e l’espansione vocale richiesta da Respighi.

La Sua voce di contralto La porta a confrontarsi, da sempre, con ruoli e personaggi particolari, appartati, di spiccata tensione introspettiva. Quale, tra quelli interpretati fino ad ora, occupa un posto speciale nel Suo cuore e perché? E quale vorrebbe interpretare nei prossimi anni?
La corda del contralto è legata, proprio come dice lei, ad un certo tipo di carattere e di personaggi. Nel barocco sicuramente ha vissuto l’epoca di maggior splendore, nel melodramma invece le sono stati destinati ruoli di fianco.
Se penso al repertorio settecentesco forse il ruolo che porto nel cuore è quello di Cornelia nel Giulio Cesare di Handel. È una donna forte, con un’alta capacità di sopportazione. Il suo canto è nobile, pieno, da eseguire a corda tirata come piace a me! Un’esecuzione che ricordo con gioia è stata quella dell’Opera Reale di Versailles. Un teatro maestoso all’interno della Reggia, un autentico gioiello.
Se parliamo invece di melodramma, così ad istinto, direi la Suzuki della Butterfly. Madama Butterfly è stata una delle opere che da bambina sentivo in casa. Mio papà, grande amante delle opere pucciniane, mi aveva regalato la storica edizione con Mirella Freni. Ora, non ho voce per Cio Cio San ma una Suzuki prima o poi mi sarebbe piaciuta.
E così quando è arrivata la scrittura dal Teatro San Carlo, è stata una gioia. Tra l’altro con una regia bellissima firmata da Ozpetek! E pensi che ho debuttato il ruolo il giorno in cui il mio papà compiva ottant’anni…
Quanto a quello che mi piacerebbe interpretare nei prossimi anni, vorrei addentrarmi maggiormente nel repertorio sinfonico. La Rapsodia per contralto di Brahms, ad esempio, non ho ancora avuto modo di cantarla ed è un pezzo che adoro.

I Suoi progetti per questo 2025 appena iniziato?
Un progetto a cui tengo in maniera particolare e che partirà tra pochissimo è il progetto “Casta Diva” con cui si vuole celebrare a livello internazionale le figure delle donne nel teatro musicale italiano. È qualcosa di unico nel suo genere, è finanziato dall’ Unione europea e voluto dal Ministero dell’Università e della Ricerca. Molte le istituzioni coinvolte, Conservatori, Accademie di Belle Arti e l’Università La Sapienza di Roma. Verrà messa in scena la Juditha Triumphans di Vivaldi e interpreterò proprio Juditha. Un ruolo che ho amato e che amo moltissimo. Quest’ oratorio è un’allegoria in cui Giuditta rappresenta Venezia e questa città per me è sinonimo di casa. Vivaldi ha composto per questo personaggio delle arie meravigliose con una strumentazione particolare, di grandissima eleganza. Il binomio penetrante della vocalità contraltile insieme alla viola d’amore, oppure con il chalumeau, hanno sempre avuto per me un enorme fascino. E poi la linea del canto è assolutamente perfetta per il registro del contralto, un dono prezioso che il Prete Rosso ha regalato a questa vocalità. Tra le altre cose poi tornerò di nuovo negli Stati Uniti, sono Partner artistico della Chamber Orchestra of New York per questa stagione, sarò nella giuria del Premio Respighi e terrò una masterclass a New York.

Elide Bergamaschi