MANTOVA Quello che condivido con voi e con l’intera comunità mantovana non vuole essere un “discorso sulla città”, bensì un “discorso con la città”. Una parola familiare e fraterna che parte dall’ascolto, dal dialogo e dalla condivisione e, allo stesso tempo, desidera suscitarli. Una riflessione frutto di un “cantiere di pensiero sinodale”.
Dai cantieri della nostra città al cantiere della sostenibilità
In questi ultimi mesi, osservando e ascoltando la città, sono rimasto colpito dal numero di cantieri – appena conclusi, in pieno svolgimento o in fase di allestimento – che si distribuiscono ovunque nel centro e nel territorio (cantieri pubblici, privati, di enti locali, istituzioni, scuole, parrocchie). E, al contesto urbano costellato di cantieri edili, corrisponde il contesto socio-culturale caratterizzato da molteplici “cantieri di civiltà”, veri laboratori di cultura e pensiero dove protagonisti sono soprattutto i giovani.
L’immagine del cantiere appare, quindi, una promettente metafora per illustrare l’intuizione profetica di papa Francesco espressa nell’enciclica Laudato si’: nella realtà e nella società tutto è connesso, tutto è collegato, tutto è in relazione.
Il cantiere di cui ha bisogno il nostro tempo non ha per oggetto un singolo edificio o una determinata località, ma si allarga all’intero pianeta e coinvolge, nel ruolo di artefici, tutti gli uomini e le donne che lo abitano. Lo definirei il cantiere della sostenibilità.
Tra i cambiamenti climatici e la pandemia, tra l’instabilità economica e quella politica, tra le recrudescenze belliche e i fenomeni migratori, tra le difficoltà negli approvvigionamenti e le preoccupazioni per le generazioni future sembra tessuta un’unica trama, talvolta sottilissima e impercettibile, altre volte evidente e palese.
Per questo potremmo vedere nella sostenibilità il “principio architettonico” che dovrebbe presiedere e ritmare una realtà complessa e interconnessa come quella in cui ci troviamo inseriti.
Una sostenibilità integrale che, accanto alle declinazioni ormai classiche della sostenibilità sociale, ambientale ed economica, aggiunga l’attenzione a una sostenibilità generazionale (dal problema della denatalità alle difficoltà incontrate dai membri più anziani delle nostre famiglie e comunità, dai fragili e da tutti coloro che necessitano di sostegno e assistenza) e alla legalità che, nella sua accezione più compiuta e matura, fiorisce nella giustizia (il rispetto della legge rappresenta condizione essenziale della sostenibilità).
Mantova, il suo territorio e la sfida della sostenibilità
Alcune declinazioni “mantovane” della sfida della sostenibilità.
Un primo tema è quello del complicato rapporto tra salvaguardia del lavoro, degli investimenti, della salute e dell’ecosistema. Appare anche qui evidente come le questioni problematiche non vadano frazionate in settori disgiunti, con velleitari tentativi di risoluzioni solo parziali: lavoro, separato da ambiente, separato da salute, separato da mobilità.
Un secondo nodo riguarda i consumi energetici: la sostenibilità passa anzitutto dal nostro stile di vita e non possiamo esimerci dal mettere in campo abitudini e azioni volte al risparmio energetico e alla riduzione dei consumi.
Un terzo aspetto problematico è quello del consumo del suolo che, nonostante le apprezzabili politiche portate avanti a livello statale e locale, appare anche a Mantova in costante aumento: la sfida del nostro tempo, semmai, sta nel rigenerare, riqualificare, rivitalizzare e riportare alla natura.
Un ulteriore tema è quello del “dialogo problematico” tra percorsi formativi e opportunità lavorative, che comporta l’impoverimento progressivo delle nostre comunità, con “i giovani migliori” che, dopo aver raggiunto ottimi livelli formativi grazie alle istituzioni educative del nostro territorio, sono poi proiettati verso aree metropolitane italiane o straniere (Milano e Londra su tutte).
Il cammino ecclesiale tra sinodalità e sostenibilità
In questo cantiere della sostenibilità anche la nostra Chiesa mantovana avverte con chiarezza la chiamata a impegnarsi. L’esperienza sinodale che stiamo vivendo a livello universale, nazionale e locale offre un impulso decisivo ad orientarci verso questa prospettiva. Ci troviamo, quindi, nel pieno del cantiere di una sostenibilità ecclesiale.
Questo presuppone un’autentica conversione pastorale, non solo nella liturgia e nell’annuncio, ma anche nella gestione dei beni, delle risorse e dei progetti: la sfida di una buona gestione dei beni della Chiesa consiste nel tenere insieme gli ideali, la gratuità e la sostenibilità. Questo significa che l’investimento delle risorse, di quelle umane come di quelle patrimoniali e immobiliari, dovrebbe rispondere sempre più alle priorità pastorali piuttosto che a logiche utilitaristiche, di mercato o di preservazione a oltranza dell’esistente. In questo, l’attenzione alla sostenibilità offre un criterio di discernimento da non trascurare.
Sostenibilità, pandemia e conflitto bellico
Sono le crisi e le emergenze, soprattutto quelle che percepiamo come “reali, concrete e assolute”, a farci aprire gli occhi circa l’ineludibilità del cammino verso una sostenibilità integrale.
Accanto al persistere del fenomeno pandemico, oggi ci troviamo improvvisamente dinanzi a un conflitto armato nel cuore dell’Europa, che coinvolge a catena anche Stati di altri continenti. Esso, come ogni altro avvenimento bellico, rappresenta l’antitesi di ogni progetto edificatorio, è l’anti-cantiere per eccellenza. A livello emotivo, prima ancora che nell’elaborazione razionale, lo avvertiamo come “insostenibile”. Quelle immagini ci colpiscono e feriscono, provocano dolore e fanno precipitare nella preoccupazione.
Quella che vediamo emergere è la punta dell’iceberg di un tema ampio e complesso, che coniuga dinamiche politiche, economiche, energetiche, ambientali, culturali e legate agli stili di vita. Ancora una volta, tutto è interconnesso e chiama in causa a più livelli la sostenibilità.
Dalla connessione alla comunione
Le connessioni che si sono rivelate come inscritte nel reale e nella stessa vita chiedono di essere sviluppate in modo creativo, coltivando il loro potenziale spirituale. Partendo dalla connessione siamo chiamati ad approdare alla comunione. Crediamo sia questa la realizzazione più compiuta della sostenibilità.
Al di là della fede personale di ciascuno, la tradizione biblica costituisce una promettente chiave d’accesso all’interpretazione del reale. La traiettoria della vicenda biblica richiama un linguaggio che potremmo definire architettonico. In essa, infatti, assistiamo al racconto del dispiegarsi del progetto di Dio, del suo disegno di salvezza. Dalla creazione che fornisce “il materiale da costruzione”, attraverso le alterne vicende della storia umana impastata di grazia e di peccato, tra grandi realizzazioni e crolli rovinosi, avendo come meta l’edificazione della nuova Gerusalemme, la città eterna, dimora di Dio con gli uomini.
Quest’ultima rappresenta l’esito del disegno salvifico di Dio. Il “cantiere per eccellenza” finalizzato alla piena realizzazione della storia dell’umanità. Questo ci conduce oltre e al di là della sostenibilità. Qui essa si trasfigura nella comunione e nel compimento. La nuova Gerusalemme è una città luminosa e colorata, che offre l’intera gamma cromatica, con le sue rifrazioni e brillantezze: un autentico caleidoscopio di identità ed esperienze.
Biodiversità e multiculturalità
Il valore dei cantieri va ben oltre la dimensione strutturale del restauro. Accanto al pur necessario recupero statico degli edifici, quello che sorprende e affascina è vedere come essi ridonino alle nostre città la varietà dei colori, delle forme, degli stili e delle finiture. La sostenibilità non è dunque monocroma, a tinta unita, ma porta con sé la ricchezza della diversità. Sia a livello naturale, che in ambito culturale. Da un lato la biodiversità e dall’altro la multiculturalità: facce diverse dell’unico prisma che rende manifesta l’inesauribile ricchezza del creato e dell’umano.
Rigenerare le periferie
Se togliamo loro la brillantezza della luce e l’iridescenza del colore, alle nostre città non rimane che il grigio. Il grigio di tante periferie, urbane ed esistenziali. Il colore delle periferie, infatti, appare pallido, anonimo, smorto. Il non-colore di chi se ne sta ai margini, di chi rimane escluso, di coloro che vengono gettati fuori da una società che li considera un ostacolo, un impedimento, uno scarto. Tra le periferie non possiamo non includere quei luoghi che potremmo definire “sedotti e abbandonati dal progresso”. Pensiamo alle aree industriali dismesse, ai complessi commerciali falliti, alle lottizzazioni abbandonate e a tutto ciò che si presenta come uno sfregio e una ferita all’interno del tessuto urbanistico. Molto opportunamente, da alcuni anni a questa parte, si è cominciato a parlare di rigenerazione urbana e ad agire di conseguenza. Rigenerare è un verbo splendido, porta con sé la vita, la novità, la bellezza, la speranza, il presente e il futuro, dice che in gioco non c’è solo la forma, ma la sostanza del vivere, dell’abitare, dell’essere comunità.
La sfida dell’inquinamento
Non sono solo lo scorrere del tempo e l’incuria delle mancate manutenzioni a ingrigire le nostre città. Molte delle facciate che si dispongono sulle sue strade, infatti, appaiono opache e sporche a causa dei depositi prodotti dal traffico e dallo smog. È la perdita di brillantezza provocata dell’inquinamento che non risparmia la nostra Pianura Padana e pone in primo piano il tema della qualità dell’aria e della garanzia della salute dei cittadini e, più in profondità, apre seri interrogativi sul sistema dei trasporti, della mobilità e degli impianti domestici e industriali.
Il buio esistenziale
Accanto alla foschia che percepiamo con la vista, se ne palesa un’altra che attanaglia le profondità del vivere e del sentire. È il grigiore esistenziale della tristezza, della malinconia, della sfiducia nel domani, della fuga da un mondo avvertito come ostile, del ripiegamento nella propria dimensione privata. Il cantiere della sostenibilità deve portare anche in questi contesti luce e colore. Pensiamo alle difficoltà, alle crisi e alle sofferenze che tante persone e numerose famiglie stanno affrontando nel nascondimento della solitudine e nel privato della vita domestica.
Per far fronte a questo tipo di emergenze il tempestivo intervento delle istituzioni si rivela spesso provvidenziale ma, accanto ad esso, risulta indispensabile stimolare l’interesse dei vicini e il coinvolgimento della comunità. È un lavoro di restauro paziente e certosino quello che ci aspetta, delicato e inclusivo, verso coloro che si sentono provati e feriti, indeboliti e affaticati. Come nel lavoro di un cantiere non vengono utilizzati solo materiali considerati nobili, così la nostra città non può essere edificata senza di loro.