MANTOVA «Di enormi proporzioni è stata soprattutto l’afflizione arrecata a Carlo Mosca, che ha patito una ingiusta e prolungata limitazione della libertà personale e rischiato di subire una condanna all’ergastolo (l’accusa aveva chiesto 24 anni, ndr), con gravissime ripercussioni sul piano sia umano che professionale, cui il verdetto assolutorio può porre solo parziale rimedio». A scriverlo è il presidente della Corte d’assise di Brescia Roberto Spanò nelle motivazioni con le quali lo scorso primo luglio ha assolto il medico mantovano, ex primario dell’ospedale di Montichiari dall’accusa di duplice omicidio volontario. Mosca era imputato per aver somministrato farmaci letali a tre pazienti deceduti nel suo reparto nei giorni clou della prima ondata di Covid. Secondo il presidente della Corte il dottor Mosca è caduto vittima di «tesi, supposizioni e sospetti che hanno costituito la linfa vitale che ha cristallizzato un’accusa calunniosa di omicidio, tanto più infamante in quanto rivolta ad un medico». Ad alimentare voci e sospetti secondo il presidente Spanò sono stati due infermieri del pronto soccorso: Bonettini e Rigo, per i quali la Corte ha rimesso gli atti alla procura perché li indaghi per calunnia. I due, scrive il giudice, «hanno orchestrato una manovra di accerchiamento in danno del primario, arrivando perfino a costruire prove false per comprometterne in modo irrimediabile la posizione», come le fiale di succinilcolina e di propofol vuote nel cestino dei rifiuti. Sarebbe stato questo particolare a convincere i giudici ad assolvere l’imputato. «Difficile pensare – scrive Spanò – che il dottor Mosca, dopo aver volutamente ucciso dei pazienti, abbia lasciato a bella posta il corpo del reato, derogando ingenuamente alle normali regole sullo smaltimento dei rifiuti proprio quando avrebbe dovuto agire con la massima circospezione».».