Sisma, niente ‘ndrangheta: pene più soft per i Todaro e altri cinque

Il tribunale di Mantova

MANTOVA – Esclusa la contestata aggravante dell’agevolazione mafiosa ascritta in via principale in capo a tutti gli accusati, per un verdetto di poco meno di vent’anni complessivi di reclusione. Questo quanto deciso ieri, all’esito dell’udienza preliminare, nei confronti dei 7 imputati giudicati con rito abbreviato, su 21 totali, circa il procedimento scaturito dall’operazione antimafia “Sisma”, relativa alla ricostruzione post terremoto del 2012 nel Mantovano.
Smontato dunque, seppur parzialmente, il quadro accusatorio sostenuto dai pubblici ministeri della Dda di Brescia – Paolo Savio, Claudia Moregola e Michela Gregorelli – sul presunto sistema corruttivo messo in piedi per facilitare la concessione di contributi pubblici destinati al ripristino degli immobili danneggiati. Il tutto in nome degli interessi del clan Dragone-Ciampà, secondo gli inquirenti in grado di mettere le mani sui lavori post sisma nella provincia virgiliana. Un’ipotesi sulla cui ricusazione si erano fortemente battute le difese, stante il supposto della cessata esistenza fin dal maggio 2004 della summenzionata cosca cutrese di ‘ndrangheta, vale a dire dall’assassinio del boss Totò Dragone per mano dei rivali storici dei Grande Aracri. Nello specifico ritenuti epicentro dell’ipotizzato giro corruttivo legato all’affidamento degli interventi edilizi alle imprese, il nipote del defunto boss, l’architetto Giuseppe Todaro, 37enne di Reggiolo, fino al 2021 tecnico esterno incaricato di istruire le pratiche per la ricostruzione di edifici privati in alcuni comuni del cratere sismico virgiliano, e il padre Raffaele, 61 anni residente a Peschiera del Garda.
Per loro la pena comminata dal gup Alessandro D’Altilia, è stata rispettivamente di 6 anni, 4 mesi e 10 giorni per il primo e 5 anni, 7 mesi e 10 giorni per il secondo, a fronte invece dei 14 anni e 9 anni avanzati in requisitoria dai Pm della Leonessa. In particolare Todaro Junior (difeso dagli avvocati Silvia Salvato e Giuseppe Migale Ranieri) stante il rigetto dell’aggravante mafiosa, è stato ritenuto responsabile di tutte le fattispecie di reato a lui addebitate ad esclusione di un paio relative a false fatturazioni e falso in atto pubblico, mentre per altre due imputazioni estorsive si è visto riqualificare il reato in esercizio arbitrario della proprie ragioni. E proprio per quanto concerne una di queste residue circostanze, la derubricazione del reato in mancanza di querela di parte, essendo non più procedibile d’ufficio, ha comportato il mancato risarcimento per una delle due parti civili costituite a processo, un 70enne di Gonzaga rappresentato dall’avvocato Claudio Terzi. Provvisionale da 5mila euro invece per un 58enne geometra di Magnacavallo, con l’avvocato Cristian Pasolini, vittima di concussione per una pratica post terremoto a Villa Poma e minaccia in riferimento alle sorti del figlio piccolo. Pene più soft, rispetto a quanto proposto dalla pubblica accusa, anche per gli altri cinque imputati a giudizio con rito alternativo: due anni per il reggiano Alfonso Durante e un anno e sei mesi con pena sospesa per il padre Antonio; per entrambi la Dda aveva chiesto tre anni di reclusione. Stessa condanna sempre col beneficio della sospensione della pena anche per il promotore finanziario guastallese Enrico Ferretti contro i due anni otto mesi richiesti; 4 mesi in continuazione con altri specifici reati analoghi per il crotonese d’origine ma Suzzarese d’adozione Giuseppe Ruggiero; infine un anno e dieci mesi, a fronte di cinque anni e quattro mesi avanzati a suo carico, per il 52enne bresciano Claudio Pasotti, quest’ultimo accusato di false fatturazioni. Un ottavo soggetto, il 56enne di Poggio Rusco Giuseppe Di Fraia, aveva invece già patteggiato a suo tempo due anni e nove mesi. Disposta altresì la confisca, sulla scorta di sequestri già effettuati, di un milione e 900mila euro in capo alla alla Bondeno Srls – società, con sede in via Matilde 12 a Bondeno di Gonzaga e secondo gli inquirenti costituita al fine di eludere le disposizioni in materia di misure di prevenzione patrimoniale e agevolare la commissione dei reati di riciclaggio, autoriciclaggio e reimpiego – e 898mila euro a Giuseppe Todaro.