Delitto del Boma, inammissibili i ricorsi: condanne definitive

MANTOVA Impugnazioni difensive dichiarate inammissibili con conseguente conferma integrale delle sentenze di primo e secondo grado. È quanto statuito ieri, dalla Corte di Cassazione, nei confronti dei due responsabili del delitto del Boma: Abdelwahad Hoshush, 34enne marocchino e il connazionale 37enne Bouchta Bouchari, entrambi accusati in concorso di omicidio volontario e tentato omicidio e per questo condannati anche in appello, rispettivamente a 16 anni e 8 mesi e 10 anni e 8 mesi di reclusione. Pene queste divenute quindi ora, alla luce della decisione degli “ermellini”, definitive.
Nello specifico il fatto di sangue, occorso nel piazzale del centro commerciale La Favorita, risaliva alla notte del 2 luglio 2021. Vittime del brutale pestaggio, perpetrato principalmente a colpi di mazza da baseball, Atilio Ndrekaj, 24enne albanese all’epoca domiciliato da qualche tempo nel capoluogo virgiliano a casa di uno zio (costituitosi parte civile unitamente al fratello del giovane deceduto con l’avvocato Omar Bottaro di Padova) e Pierfrancesco Ferrari, 38enne di San Giorgio Bigarello (anch’egli parte civile con l’avvocato Arianna Monelli). Il primo deceduto al Carlo Poma dopo oltre ventiquattrore di agonia, il secondo invece, sopravvissuto fortunatamente a quello che fin da subito era apparso come un agguato in piena regola addebitabile, stante l’ipotesi inquirente poi confermata, a un regolamento di conti in materia di stupefacenti.
Stando infatti agli elementi probatori addotti al giudizio sarebbe stato il 34enne, difeso solo in ultima istanza dall’avvocato Nadia Fortunata Grande, a percuotere ripetutamente al capo, prima il giovane albanese e in un secondo momento l’amico, dopo che a quest’ultimo era stata sfilata di mano la mazza con cui le vittime si erano presentate all’appuntamento ma, come altresì statuito a suo tempo dai giudici d’appello, «rimanendo a debita distanza dagli assassini e da questi a loro volta raggiunti e aggrediti selvaggiamente». Sulla scorta di tali elementi la difesa del 34enne, a cui era altresì contestata la recidiva specifica, aveva invocato sia l’attenuante della legittima difesa, con contestuale richiesta di riqualificazione del capo d’accusa principale da omicidio volontario a preterintenzionale, che quella della provocazione, entrambe dichiarate «prive di fondamento stante la illiceità del comportamento di sfida e la libera accettazione dello scontro fisico con le persone offese». Nel complesso più marginale ma ugualmente determinante nel portar a compimento l’intento delittuoso, il ruolo avuto dall’amico, difeso dall’avvocato veronese Emanuele Luppi. Per quanto concerne infatti quest’ultimo imputato, avevano argomentato nelle proprie motivazioni sia il gup di Mantova che i giudici di secondo grado, «va riconosciuto il concorso materiale e morale con la condotta tenuta da Hoshush, tramite un contributo rilevante constato dapprima nel disarmare Ferrari, colpendolo in testa con una bottiglia di vetro e quindi percuotendo entrambe le parti lese con calci e pugni anche quando queste si trovavano a terra inermi». Infine, «va pure disattesa la doglianza afferente il mancato riconoscimento dell’attenuante del risarcimento del danno, palesandosi irrisorie le somme offerte alle parti civili (ad esempio 3mila euro) a fronte dell’elevato danno morale patito dalle stesse a seguito dei gravissimi fatti criminosi». Ricorrenti condannati inoltre dalla Suprema Corte, al pagamento delle spese processuali e della somma di 3mila in favore della cassa delle ammende.