La storia di Paolo, invalido che da un mese vive in stazione: “non chiedo la carità, solo un tetto e un lavoro”

MANTOVA  Sembra un normalissimo viaggiatore con la sua valigia e il suo zainetto, seduto in sala d’attesa, solo che il suo treno non passa mai. In stazione a Mantova ormai lo conoscono tutti, basta chiedere di Paolo a qualcuno che in stazione ci lavora e subito sa di si sta parlando. Paolo ha 46 anni ed è un “invisibile” che da poco più di un mese abita nella sala d’aspetto della stazione ferroviaria di Mantova. Invisibile perché non ha un tetto o una casa, invisibile perché non dà noia a nessuno, tira avanti senza chiedere niente. Anzi, una cosa la chiede: fatemi lavorare. Ha lasciato un suo curriculum anche al bar della stazione. Invalido al 70% («da piccolo sono stato investito da una macchina e ha una lesione permanente a un braccio», racconta) non prende niente di pensione, e le pratiche per l’aggravamento sono cosa lunga. «Prima dormivo nella zona dello stadio – racconta -, però non era un posto tranquillo. Di notte succedevano sempre delle cose. Qui è più tranquillo. Si è vero che ci sono stati un paio di stranieri che qualche notte fa mi hanno portato via le coperte. Non le hanno chieste, le hanno prese e basta, ma senza minacciare o picchiare. Qui è così, non è un posto dove si chiede “per favore”. Però se rispetti gli altri vieni rispettato e nessuno ti isturba o ti fa del male». Originario del Bresciano, ha abitato a Montihiari e a Fiesse. Ha un fratello che vive a Bergamo che non ha modo di ospitarlo, ma che lo chiama spesso, mentre sua madre sta da una sorella con cui non ha rapporti. Prima di arrivare a Mantova ha girato vari posti. Di ce di essere finito in mezzo a una strada per colpa dei debiti e di una donna. «Roba vecchia – spiega -, del 2017. Mi sono spostato perché non volevo pesare sulle spalle dei miei. A Brescia ho lavorato in un ristorante pakistano ma non è durato. Poi sono stato un po’ di tempo alla Smeg di Guastalla e ho fatto anche un periodo in u a comunità a Sermide prima di arrivare a Mantova. Ho cercato una sistemazioine ma non ho trovato niente. Al dormitorio mi hanno detto che danno la precedenza a quelli di qui. Mi sono rivolto a quelli di Agape, mi hanno messo in lista. Vado da loro a lavarmi, per tenermi un po’ in ordine. A Fiesse i servizi sociali mi avevano offerto un alloggio ma non avevo i soldi per pagare l’affitto». Il resto delle sua giornate Paolo lo passa in stazione. «Do un mano ai viaggiatori a portare i bagagli, qualcuno i dà la mancia. Altri che mi conoscono mi aiutano con un po’ di spiccioli, delle volte al bar mi lasciano ricaricare il cellulare. Continuo a sperare di trovare un lavoro. Una volta pulivo i box dei cavalli. Lavorare in un allevamento mi andrebbe bene, mi accontenterei. Mi basterebbe trovare un alloggio, avere qualcosa di più di niente», quanto serve per smettere di essere invisibile.