Panchina killer, ultimo confronto tra consulenti di accusa e difesa

Mantova Da una parte i consulenti delle difese, concordi nel sostenere l’esattezza dei calcoli di dimensionamento effettuati in via preventiva, e quindi di conseguenza la corretta progettazione e costruzione, essendo quel manufatto stato ideato come mera opera di arredo urbano o installazione architettonica e non, al contrario, quale giostra o altalena. Di tutt’altro avviso invece i periti di pubblico ministero e parte civile, secondo i quali si trattava comunque di una struttura girevole pericolosa, pesante ben 1.240 chili e messa in un punto accessibile a chiunque senza un solo cartello di divieto o avviso del rischio.
Queste in sostanza le due posizioni, in antitesi tra loro, messe a confronto ieri, dal giudice Raffaella Bizzarro, nel corso dell’ultima seduta dibattimentale del processo istruito per la morte di Matteo Pedrazzoli, il 14enne travolto e ucciso il 10 agosto 2018 dal crollo di una panchina girevole installata nel parco di piazza Castello a Castel d’Ario. In particolare, secondo quanto ripreso dai Ctp dei cinque imputati, la rottura della struttura per cosiddetta risonanza o sollecitazione sarebbe potuta avvenire solo nell’ipotesi di quattro soggetti posti a coppie ai due lati della struttura che prendevano a saltare contemporaneamente e con determinata frequenza.
Circostanza questa tale da provocare a quel punto il collasso del tubo d’acciaio posto a sostegno del manufatto, ritenuto dunque realizzato in modo conforme e adeguato all’uso pensato. E nemmeno la forza del vento, inoltre, eventualità questa presa in considerazione in fase di progettazione, sarebbe stata sufficiente per provocarne rottura e crollo. Cinque, come detto, le persone finite sotto accusa per omicidio colposo: Marzio Furini, responsabile dell’ufficio tecnico del Comune di Castel d’Ario; Luca Bronzini, di Rovereto (Trento), titolare dell’omonimo laboratorio specializzato in attività di restauro che si era aggiudicato l’appalto per la riqualificazione dell’intera area verde; l’architetto progettista Elena Bellini; e gli installatori dell’opera, i fratelli Loris e Cristian Manfredi, contitolari della Car-Mec, azienda di carpenteria metallica con sede a Rovereto. A giudizio anche il Comune di Castel d’Ario in qualità di responsabile civile, mentre erano già cadute a suo tempo le contestazioni addebitate all’allora sindaco Daniela Castro. Parte civile, con l’avvocato Maria Grazia Galeotti, i familiari della vittima: il padre Gianfranco Pedrazzoli, la madre Alessandra Ferrarese, il fratello Gianluca (tutti e tre escussi sempre nella seduta di ieri), tre zii e un nonno. Secondo quanto emerso da una perizia disposta dal pubblico ministero Silvia Bertuzzi, titolare delle indagini, ci sarebbe stato un errore di calcolo sul perno della struttura, risultato troppo esile per sostenere il peso dell’intero manufatto.
La sera della tragedia il parco giochi era affollato di giovani e giovanissimi ritrovatisi nei pressi delle panchine girevoli. D’un tratto però proprio il perno di una delle due opere si era spezzato facendo collassare a suolo il pesante manufatto. Tutti i ragazzini si erano messi in salvo tranne Matteo. Gli amici avevano tentato disperatamente di sollevare la panchina senza riuscirci. C’erano volute quindici persone per liberare il 14enne, ma ormai era troppo tardi. Discussione e sentenza il prossimo 29 maggio.