Polo chimico, una discarica abusiva di veleni nel sottosuolo

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Mantova Se gli scarichi dell’impianto di cloro-soda finivano nel canale Sisma, e quindi di conseguenza nelle acque del Mincio, già dal lontano 1957 era stato solo una quindicina di anni dopo che, tramite un’ordinanza dell’allora sindaco di Mantova atta a raggiungere quantitativi di mercurio accettabili, si era imposta l’istituzione di un processo di filtraggio preventivo delle scorie derivanti dai cicli produttivi. Queste infatti, a partire dal 1975-76 dovevano venire isolate tramite tombatura in fusti di cemento da interrarsi poi a una profondità di circa un paio di metri.
A riferirlo, ieri in aula nella seconda udienza dibattimentale del processo per inquinamento e omessa bonifica del polo chimico virgiliano, instaurato a carico di 17 imputati (tra persone fisiche e giuridiche), uno dei tecnici di Arpa incaricato a partire dal 2011 di effettuare verifiche ispettive sui terreni oggetto d’indagine e attualmente di proprietà delle multinazionali Edison, Versalis e Syndial (ora gruppo Eni Rewind). In particolare, a fronte dei monitoraggi di dette aree critiche, erano state rinvenute in sito tre discariche ormai tutte esaurite, di cui una irregolare in quanto mai denunciata dalla società responsabile, individuata in Edison, con fusti deteriorati e non più in grado di garantire la tenuta isolante contenenti scarti fangosi da cloro-soda e mercurio nonché acqua percolata direttamente dal terreno. A fronte di questo, secondo quanto contestato dalla procura di via Poma infatti, (rappresentata nella circostanza dai sostituti Silvia Bertuzzi e Michela Gregorelli) le società, chiamate a rispondere anche in qualità di responsabili civili, e di conseguenza chi le amministrava, avrebbero ritardato, se non bloccato, l’avvio dell’iter di bonifica delle varie aree Sin, nel cui sito perimetrato era stata rinvenuta una considerevole presenza di metalli pesanti, oltreché solventi e idrocarburi.
Segnatamente però, una prima richiesta di rimozione di tali vasche, dopo la loro messa in sicurezza, era stata avanzata nel 2012 da Versalis con un progetto di bonifica che prevedeva la rimozione degli scafandri di cemento da posizionarsi in una tensostruttura. Inoltre, come dichiarato nella precedente seduta da un altro consulente della pubblica accusa, escusso innanzi al giudice Giacomo Forte, le verifiche in campo avevano portato altresì «all’individuazione di una correlazione diretta tra la contaminazione delle acque di falda e quelle del diversivo». Un’inchiesta a doppio binario durata quattro anni, quella relativa la contaminazione del sito d’interesse nazionale virgiliano, scattata a metà 2016 con il preciso scopo di tirare le fila in via definitiva sulla falsa riga degli accertamenti già condotti in passato sulla Colori Freddi San Giorgio. All’esito di una complessa attività di verifica effettuata da Arpa Lombardia e Nucleo operativo ecologico dei carabinieri, sotto l’egida di Ministero dell’Ambiente e Provincia di Mantova, nel novembre 2020 si era così giunti all’individuazione di specifiche responsabilità in capo alle aziende oggi proprietarie dei terreni oggetto di analisi. Tali, presunte, responsabilità penali però, non atterrebbero a una contaminazione cosiddetta storica ma bensì proprio ai ritardi, a seguito dei ricorsi respinti da Tar e Consiglio di Stato, circa l’avvio dell’iter di bonifica delle varie aree Sin, quali Valletta e Cavo San Giorgio (responsabile Versalis), canale diversivo (Versalis), area B+1 (Versalis), canale Sisma (Edison) ed area ex Sala Celle, ovvero l’ex impianto di cloro-soda dismesso già negli anni ‘90 e riferito al 99,57% a Edison e per il restante 0,43% a Syndial, nel cui sottosuolo erano state altresì rinvenute palline di mercurio.
A queste si erano poi aggiunte altre tre aree riconducibili a Edison (V, R collina e R1). In generale, stando alle risultanze investigative, nel sito sarebbe stata rinvenuta una forte contaminazione di suolo, sottosuolo e falda acquifera da metalli pesanti, principalmente mercurio per le aree lacustri e fluviali. A loro volta, le acque di falda presenterebbero una contaminazione da solventi organici aromatici (benzene, stirene e cumene), idrocarburi, solventi organo-alogenati e metalli pesanti, nonché la presenza di surnatante costituito da un misto di sostanze solide e liquide provenienti da lavorazioni chimiche. Prossima udienza il 12 luglio.