MANTOVA Terza serata di musica dal vivo per piazza Sordello, dopo i classici pop di Sting e le schitarrate dal sapore glam dei Baustelle è ora il momento di una decisa virata verso lande misteriose e ancora da scoprire completamente come quelle degli islandesi Sigur Rós. Il gruppo alfiere del post-rock, genere che stravolse i canoni della sperimentazione musicale a cavallo tra gli anni Novanta e i primi Duemila, si presenta al Mantova Summer Festival forte della pubblicazione del suo primo lavoro discografico da dieci anni a questa parte, “ÁTTA” (vocabolo che significa banalmente “otto”), ottavo LP pubblicato poche settimane fa per l’etichetta Krúnk e accolto con insperato e incredulo entusiasmo dalla critica internazionale. Era effettivamente difficile da pronosticare un ritorno ispirato dopo una decade di silenzio per quanto riguarda il lavoro in studio e qualche prova non completamente a fuoco che aveva connotato l’ultimo periodo della band di Reykjavík.
La novità più rilevante e apprezzata dal pubblico è sicuramente il rientro nella formazione di Kjartan Sveinsonn, polistrumentista di incredibile talento fuoriuscito dal gruppo nell’ormai lontano 2013, al tempo del tour del sesto album, “Valtari”. Proprio il rientro di Kjartan è ritenuto da molti una delle ragioni principali del ritorno alla forma di quello che ora è ufficialmente di nuovo un trio.
Gli islandesi arrivano nella capitale gonzaghesca dopo un mini tour italiano che li ha visti toccare le piazze di Roma, Bari e Lucca all’interno del loro nuovo giro del mondo che dopo le tappe europee li vedrà tornare a calcare i palchi del Nord America.
Pronti via ed è subito emozione, si parte con uno dei brani che hanno fatto la fortuna dei Sigur Rós, “Glósóli”, pezzo che dal vivo porta a limiti siderali le sue dilatazioni sognanti e la sua coda di stampo shoegaze, con una costruzione progressiva e stratificata veramente magica. Già dalle prime note del commovente secondo pezzo, “Untitled #1 – Vaka”, si capisce che sarà un live all’insegna dei cavalli di battaglia del gruppo guidato dal chitarrista e cantante Jónsi e così è.
Si toccano infatti un po’ tutte le tappe della loro storia, passando attraverso pezzi estratti da diversi dischi come dimostra la magniloquente “Svefn-g-englar” che ci riporta al 1998 e al loro capolavoro della prima ora, quel ”Agætis Byrjun” che ridefinì i confini della musica rock di stampo strumentale sul finire del secolo passato.
È però il loro lavoro della maturità, quello recante le ormai famose parentesi in copertina e targato 2002, ad essere maggiormente saccheggiato per la scelta delle canzoni; non a caso il gruppo ne ha presentato una succulenta versione espansa giusto lo scordo anno, in occasione del ventennale.
Pochi invece i brani scelti dalla loro ultima pubblicazione che, a causa dell’afflato prettamente orchestrale e d’ambiente che la contraddistingue, si intuisce essere difficilmente replicabile in sede live senza l’appoggio della London Contemporary Orchestra che li ha accompagnati nelle registrazioni. Si distingue comunque la delicata “Ylur”, che presenta una forma canzone virata ambient particolarmente suggestiva.
Come da tradizione pochissime parole e tanta musica che lascia senza fiato per i tre musicisti nordici, che con l’epica “Untitled #8 – Popplagið” regalano ai circa tremila presenti accorsi nella città virgiliana un concerto di pregevole fattura, impregnato di pathos fino al midollo. Il falsetto caratteristico di Jónsi vibra palpitante e riempie la piazza per un’altra serata di grande musica.
Matteo Contri