MANTOVA – Oggi è il grande giorno. Stefano L’Occaso è a Roma per mettere quella firma che darà il via al suo nuovo incarico di direttore del Palazzo Ducale.
Un atto formale che rende ufficiale la nomina avvenuta il 12 settembre scorso da parte del ministro per i beni e le attività culturali e per il turismo Dario Franceschini. “La grande emozione c’è stata quando mi hanno comunicato la nomina”, ammette L’Occaso, “adesso quella è stata metabolizzata. C’è la consapevolezza di dover intraprendere un percorso differente”.
Il lavoro a Palazzo Ducale è già cominciato?
“Sì. È iniziato immediatamente dopo la nomina e non era così scontato. Ho trovato una grande disponibilità da parte di Emanuela Daffra, con cui mi sono sempre trovato a lavorare molto bene. È stato un passaggio di consegne esemplare”.
Come è stata accolta la sua nomina?
“Molto bene, da parte di tutti i dipendenti del Palazzo. Le mie maniche sono rimboccate da un bel po’ di anni, adesso si tratta solo di cambiare passo rispetto al nuovo ruolo. Non sono spaventato, ho la consapevolezza di essere supportato da tutto lo staff”.
Causa pandemia, è un momento difficile per il settore culturale. Una sfida nella sfida?
“Il Museo è una sorta di ospedale per l’anima. Il nostro è un servizio pubblico che può far godere alle persone qualche ora di piacere puro in totale sicurezza. Stiamo lavorando molto in questo senso, adeguandoci in maniera dinamica e flessibile ai vari Dpcm. Ieri, per esempio, ho avuto un incontro con le parti sociali per rivedere il percorso di visita e cercare di rimanere aperti a oltranza. Il nostro pubblico, al momento di entrare nel Museo, deve sentirsi tranquillo. Questo è il nostro primo obiettivo”.
Si è sempre dedicato molto alla ricerca. Avrà ancora tempo di farlo?
“Nel 2011 ho pubblicato il catalogo dei dipinti mobili del Palazzo Ducale a partire dal 1937, una collezione che merita adeguata attenzione. Ora non sarei più in grado di svolgere da solo questo lavoro, però al Museo abbiamo tutte le forze per mandare avanti un impegno di questo tipo. Occorre investire sulle collezioni permanenti, anche per ragionare sulla storia della città”.
Sarà questa la strategia anti-Covid?
“Nel 2021-22 si potrà ragionare solo in questi termini perchè le opere non viaggeranno e le risorse saranno ridotte. Un museo come il nostro, con un bilancio basato sulla biglietteria, avrà bisogno di una riprogrammazione, scadenzata nei quattro anni per riportare Mantova in quella centralità che ha avuto negli ultimi vent’anni. Le collezioni permanenti hanno un altro grande vantaggio: quando si chiude una mostra lasciano molto di più”.
Ci sono anche i giovani da riportare al Museo?
“Dopo il lockdown l’età media dei nostri visitatori è stata molto inferiore rispetto a prima, forse per la titubanza degli utenti più anziani a uscire di casa. I giovani, invece, si sono ritrovati con scuole e università chiuse. Il museo non parla bene a loro, dobbiamo lavorare molto su questo aspetto e non rivolgerci solo a chi studia Storia dell’arte quegli studenti verranno sempre. Dobbiamo capire cosa si aspettano anche coloro che studiano Ingegneria o Economia. Il museo è una macchina complessa che si presta a essere narrata da diversi punti di vista, serve una comunicazione meno specialistica e autoreferenziale con una varietà di percorsi”.
Qual è il suo obiettivo principale?
“Far partire le grandi gare di appalti per le ristrutturazioni di cui l’istituzione ha bisogno. Occorre puntare sulla conservazione del palazzo che non è un limone da spremere”.
Come si fa?
“Il Coronavirus non dovrebbe incidere se non sul funzionamento ordinario, lavorando in smart working ci tiene lontani, il lavoro è tantissimo e le risorse non sono molte. Serve il contatto personale per dare il via agli appalti che sono un po’ come dei figli: non basta metterli al mondo, bisogna nutrirli attraverso una programmazione pluriennale. Parliamo di oltre dieci milioni di euro”.
La tempistica?
“Gli appalti dovranno partire tutti entro il 2021, scadenza necessaria per vincolare le risorse. Poi si cercheranno le soluzioni per la gestione degli appalti negli anni a seguire. Anche il sex appeal del Palazzo verrà meno, gru e ponteggi non saranno un bel biglietto da visita”.
Il suo sogno?
“Oltre far partire gli appalti? Riconsegnare il palazzo meglio di come l’ho trovato”.