MANTOVA Sei anni e nove mesi di reclusione. È quanto deciso dal tribunale di Mantova in composizione collegiale nei confronti di Piervittorio Belfanti, finito alla sbarra per associazione a delinquere finalizzata alla truffa e all’evasione fiscale. Ieri dunque dopo quasi cinque ore di camera di consiglio nel primo pomeriggio è arrivato il verdetto finale di primo grado. Lo scorso novembre la procura, attraverso la requisitoria dei pubblici ministeri Giulio Tamburini e Silvia Bertuzzi, aveva chiesto a carico dell’ex imprenditore virgiliano una condanna a dieci anni di carcere. Stando al dispositivo emesso dai giudici Enzo Rosina, Chiara Comunale e Francesca Grassani all’imputato è stata riconosciuta la responsabilità circa l’accusa di associazione a delinquere escludendo però l’aggravante secondo quanto disciplinato dal 5° comma dell’articolo 416 del codice penale che prevede un’inasprimento della pena se il numero degli associati è uguale o superiore alle dieci persone. Probabile, ma per fugare ogni dubbio al campo delle ipotesi si dovranno attendere i 90 giorni per il deposito delle motivazioni, che i togati abbiano ritenuto non responsabili dei reati ascritti almeno cinque dei 14 soggetti finiti nell’inchiesta e considerati alla luce della sentenza non coinvolti nel sodalizio criminoso. Tra i motivi di esclusione di tale aggravante ci potrebbe anche essere la tardiva contestazione avvenuta solo a processo già avviato. Contestualmente, a Belfanti è stata altresì riconosciuta la recidiva specifica mentre per quanto concerne il periodo di consumazione del reato questo è stato determinato in un lasso temporale compreso tra il gennaio 2013 e il 27 giugno 2017, data quest’ultima dell’arresto di Belfanti, a fronte di un periodo contestato dalla procura fatto risalire al 28 luglio 2011, giorno di costituzione della concessionaria Gold Car. L’inchiesta era nata nell’ambito dell’operazione “Formula” che nel giugno del 2017 aveva portato ad indagare 17 persone, 11 delle quali sottoposte a misura cautelare. Uno scenario quello ipotizzato dagli inquirenti che portava fuori dai confini nazionali. In Italia il meccanismo sarebbe ruotato principalmente attorno all’ufficio di via Spalti a Cittadella. Alle vittime dei raggiri sarebbero stati rifilate vetture d’importazione tedesca esenti dal pagamento dell’Iva con chilometraggi palesemente taroccati, stratagemma questo utilizzato per lucrare sul prezzo finale. Secondo l’impianto accusatorio dunque i responsabili della concessionaria sarebbero stati gregari orchestrati direttamente da Belfanti, indicato come vero titolare dell’autosalone.