Gonfiare il reddito per avere più rimborsi Covid non è una truffa

TRIBUNALE PALAZZACCIO CORTE DI CASSAZIONE

MANTOVA –  Era finita nei guai quando la Guardia di Finanza aveva scoperto che aveva dichiarato redditi gonfiati per incassare di più dai ristori Covid; a toglierla dai guai ci hanno pensato i giudici della Cassazione che alcuni giorni fa hanno confermato la riqualificazione del reato da truffa aggravata a indebita percezione di erogazioni ai danni dello Stato. Una differenza non da poco per una professionista mantovana, visto che in caso di condanna per truffa ai danni dello Stato il codice penale prevede da due a sette anni di reclusione, mentre per indebita percezione le pene previste vanno da un minimo di sei mesi e a un massimo di tre anni. Secondo le indagini la donna finita nel mirino delle Fiamme Gialle mantovane aveva dichiarato falsi requisiti per ottenere il finanziamento per le imprese danneggiate dal Covid. L’indagata subito dopo l’inizio dell’emergenza sanitaria aveva chiesto un finanziamento garantito dallo Stato previsto dal decreto liquidità dichiarando di aver conseguito un reddito nel 2018 di poco superiore a 100mila euro. Dalle indagini della Guardia di Finanza emergevano un’omessa dichiarazione e una percezione di redditi nel 2018 per soli 20mila euro. Poiché la norma finanziava il 25% del reddito, la professionista aveva indebitamente ottenuto le somme richieste. Dopo l’iniziale contestazione della truffa aggravata il gip riqualificava l’illecito in indebita percezione di erogazioni ai danni dello Stato disponendo il sequestro preventivo della somma. Contro la conferma della misura da parte del Tribunale del Riesame, l’indagata ricorreva in Cassazione. Qui i giudici hanno rilevato che il discrimine tra la truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche e l’indebita percezione di erogazioni ai danni dello Stato è l’induzione in errore. Nella specie, la norma prevedeva l’erogazione del finanziamento in misura pari al 25% dei ricavi, desunti dall’ultimo bilancio alla data della domanda o da altra documentazione da autocertificare. La condotta di chi ottiene la garanzia in base ad un’autodichiarazione che attesti requisiti non sussistenti non costituisce una truffa con l’inganno. Il destinatario, infatti, non è tenuto ad alcun accertamento sulla veridicità e pertanto non può essere indotto in errore. Da qui la conferma dell’indebita percezione.