MANTOVA Più di 50 milioni di euro di false fatturazioni emesse nel giro di due anni per alimentare di denaro la cosca che faceva capo a Nicolino Grande Aracri. Un vastissimo giro di riciclaggio di denaro che ha letteralmente tenuto in scacco l’economia tra Parma, Reggio Emilia, Mantova e Cremona negli anni tra il 2010 ed il 2012. Tantissime società, intestate a prestanome e senza dipendenti e gestite da uomini legati al clan funzionavano come veri e propri bancomat, dai quali prelevare sempre più denaro. I soldi arrivavano grazie ad un meccanismo di false fatturazioni. È questa la ricostruzione dei giudici che hanno depositato le motivazioni della sentenza di primo grado del processo Aemilia sulle infiltrazioni della ‘ndrangheta tra Emilia e Lombardia. Un meccanismo che è stato ricostruito grazie al pentito Giuseppe Giglio, che ha parlato spiegando dei dettagli come avvenivano le falsificazioni. Giglio, che aveva affrontato il processo con rito abbreviato, era stato condannato in primo grado a 12 anni di reclusione, pena dimezzata a sei in Appello, quando era diventato il primo “pentito” del maxi-processo di Reggio Emilia, era ritenuto uno dei maggiori esponenti nel Nord Italia della cosca Grande Aracri e lo scorso marzo, in base alle dichiarazioni che aveva reso una volta entrato nel programma di collaborazione con la giustizia, i militari della Guardia di Finanza di Cremona avevano confiscato beni mobili ed immobili per un valore complessivo di oltre 40 milioni di euro riconducibili a lui. Confische che avevano riguardato anche il territorio mantovano. Le Fiamme Gialle cremonesi avevano sequestrato ai fini della confisca una ditta, la Trasmoter Srl con sede in strada Ghisolo a Mantova. Oltre a questa ditta di trasporti e movimentazione di terra, i finanzieri avevano confiscato un’automobile e 12 immobili (capannoni e garage) tra Viadana e Goito. Il valore complessivo dei beni mantovani di Giglio era stato stimato in circa 500mila euro. Questo enorme giro di riciclaggio di denaro era stato reso possibile con l’utilizzo di società fasulle i cui bilanci apparivano perfettamente regolari grazie alla complicità di professionisti conniventi. I finanzieri avevano scoperto fatture false per oltre 50 milioni di euro, riciclati tramite molteplici investimenti: in complessi immobiliari, in strutture turistico-alberghiere, in società agricole, in società edili ed immobiliari, in imprese di trasporti e logistica.