MANTOVA – Ricusata in toto l’aggravante dell’agevolazione mafiosa stante il supposto della paventata cessata esistenza fin dal 2004 della cosca cutrese Dragone-Ciampà, con conseguente richiesta assolutoria o in via subordinata di riqualificazione dei reati contestati.
Questa in sostanza la linea difensiva approntata dai sette imputati giudicati con rito abbreviato, su ventuno totali, circa il procedimento scaturito dall’operazione “Sisma”, relativa alla ricostruzione post terremoto del 2012 nel Mantovano. Dopo la requisitoria dei pubblici ministeri della Dda di Brescia – Paolo Savio, Claudia Moregola e Michela Gregorelli – è quindi toccato ieri alle arringhe difensive. In particolare, per quanto concerne i due nomi di spicco dell’inchiesta, l’architetto Giuseppe Todaro, 37enne di Reggiolo nonché nipote del boss di ‘ndrangheta Totò Dragone, (morto ammazzato diciannove anni fa per mano dei rivali storici dei Grande Aracri) e il padre Raffaele, 61 anni residente a Peschiera del Garda e al pari del figlio ritenuto epicentro dell’ipotizzato giro di corruzione legato all’affidamento degli interventi edilizi alle imprese, la tesi dei legali (gli avvocati Giuseppe Migale Ranieri per entrambi e Silvia Salvato per il solo Todaro junior) si è quindi prettamente incentrata, oltre che sul diniego dell’influenza del clan sui lavori post sisma in terra virgiliana, anche sul presunto mancato riscontro oggettivo a livello di intercettazioni da parte dei loro assistiti. In sostanza secondo i difensori non vi sarebbe traccia nei tabulati telefonici dei nomi di Todaro padre e figlio. Inoltre l’avvocato Salvato per i soli reati contro la pubblica amministrazione ha avanzato richiesta di riqualificazione in special modo per l’ipotesi da concussione ad abuso d’ufficio. E proprio circa tale precipuo capo d’accusa ascritto a Giuseppe Todaro, così come da lui stesso argomentato in sede di esame dell’imputato, vi sarebbe stata ammissione relativamente l’aver intascato una somma di denaro (2mila euro) da Giuseppe Di Fraia, 56 anni di Poggio Rusco, l’unico ad aver patteggiato in sede preliminare (2 anni e 9 mesi) ma senza pretenderli e quindi venendo meno il presupposto caratterizzante la fattispecie della concussione. Le altre discussioni hanno invece riguardato le posizioni dei fratelli Alfonso e Antonio Durante, del promotore finanziario guastallese Enrico Ferretti, del crotonese d’origine ma Suzzarese d’adozione Giuseppe Ruggiero e del 52enne di Moniga del Garda Claudio Pasotti, quest’ultimo accusato di false fatturazioni. Respinte infine altresì, per mancanza di elementi probatori, le due fattispecie estorsive con l’aggravante del 416 bis che vedono presunte vittime due mantovani e poste in capo ancora all’architetto Todaro, fino al 2021 tecnico esterno incaricato di istruire le pratiche per la ricostruzione di edifici privati in alcuni comuni del cratere sismico mantovano. Come nel caso in cui, nell’ambito di una pratica sospesa dal Comune di Gonzaga, Todaro avrebbe preteso da un 70enne 18mila euro, sostenendo che si trattasse di lavori esclusi dal contributo pubblico e che senza l’iter non sarebbe stato sbloccato: l’uomo, fidandosi, gli avrebbe così consegnato 12mila euro con bonifico oltre ad altri 6mila brevi manu.
Poi il 37enne, ventilando la perdita del contributo pubblico, gli avrebbe chiesto altri 8mila euro, ottenendo in cambio un assegno da 4mila. Proprio tale persona offesa è risultata essere una delle sole due parti civili costituitesi al giudizio; il pensionato gonzaghese con l’avvocato Claudio Terzi, (che per il proprio assistito intende ottenere un risarcimento per il danno morale patito pari a 30mila euro oltre ad altri 20mila di provvisionale) e un 58enne geometra di Magnacavallo quest’ultimo, con l’avvocato Cristian Pasolini, vittima di presunta concussione per una pratica post terremoto a Villa Poma e minaccia in riferimento alle sorti del figlio piccolo. Il 20 dicembre repliche e sentenza.