I Sinezamia accorciano le… Distanze

13072024-IMG_8240_3347132

Mantova In un’intervista a La Voce, Marco Grazzi, il cantante dei Sinezamia racconta Distanze, il nuovo album della band mantovana fondata a Mantova nel 2004 dal frontman e dal tastierista Carlo Enrico Scaietta.

Puoi raccontarci della genesi delle nuove canzoni?
“Le 8 tracce che compongono Distanze sono state scritte da metà 2020 a fine 2023, eccetto tre brani ripescati dal nostro cassetto e mai terminati, scritti tra il 2013 ed il 2015. Questi tre sono appunto Vanità, Brucia in me e Dietro il velo. Brani dalla gestazione tormentata; la loro veste non riusciva a soddisfare mai tutti, soprattutto gli ex componenti. Con la nuova sezione ritmica (Luca Losio al basso e Saverio Coizzi alla batteria), abbiamo rimesso mano a questi brani in cui onestamente credevo molto e i risultati sono arrivati, dando loro una nuova veste e un sound omogeneo. Molte volte se i meccanismi non si incastrano perfettamente, il tutto non gira. E questa ne è la prova. Gli altri brani invece, per la prima volta in 20 anni, sono opera mia e di Carlo Enrico (Scaietta, co-fondatore e tastierista dei Sinezamia), sia a livello di testi che di musiche. Ed è un’ immensa soddisfazione, perché finalmente siamo riusciti a dare forma completa dall’inizio alla fine alle nostre canzoni. Ovviamente poi sono state arrangiate con l’aiuto di Alessandro Conte, il nostro chitarrista. Catarsi e Nella notte sono figlie del periodo pandemico del 2020. Chiuso in casa, con una formazione che non capivo se c’era ancora o meno, mi son ritrovato a scrivere e registrare molte demo nel mio studio; e questi due brani ne sono una testimonianza, seguiti poi più tardi da Magico Sabba. Ti prego aspetta e Transfert sono invece opera di Carlo Enrico, a cui ho aggiunto idee di chitarre più “malsane”, sapientemente ri-elaborate da Alessandro. Non mi ritengo un musicista, ma ho la necessità di fermare le mie emozioni e sensazioni con la mia Stratocaster, con suoni talvolta spigolosi e sinistri. Mi viene naturale creare musica mia e ragionare solo nell’ottica di creare qualcosa di mio. Sottopongo poi il materiale al resto della band sottoforma di demo complete di tutti gli strumenti ed insieme cerchiamo di arrangiarle al meglio. Cosi è stato per tutto l’album, un lavoro di sinergie e stimoli continui. Stimoli che si erano persi per oltre 2 anni, ma ritrovati appunto con la nuova formazione. Tant’è che stiamo già lavorando a diversi brani nuovi e credo non tarderà ad arrivare un nuovo lavoro anche a partire dalla seconda metà del 2025”.

Quale tra i brani di questo nuovo album è stato più difficile comporre?
“Sicuramente tra quelli che già erano stati scritti, ti direi Brucia in me. Un brano che per anni non trovava una svolta, una chiave di lettura corretta. Anche Transfert, l’ultimo brano aggiunto, seppur possa sembrare semplice nella sua struttura, ha creato non pochi problemi nell’arrangiamento e nel piegare l’italiano su sonorità post punk. Volevamo un pezzo che avesse echi alla Joy Division, batteria a trotto, chitarre taglienti, basso pulsante e tastiere d’atmosfera. Cosi è stato”.

In una vecchia intervista – rilasciata in occasione del vostro live al Legend Club di Milano per le selezioni della XXVIII edizione di Rock Targato Italia – a proposito del vostro modo di comporre, avevate dichiarato che “Non c’è un processo creativo fisso. Può nascere prima un testo e poi un tappeto musicale, o viceversa.” E’ ancora così?
“Fondamentalmente è ancora cosi. Ora, chi di noi propone un brano all’interno della band, cerca di presentarlo con una demo il più completa possibile. Questo per dare già una chiave di lettura ben chiara e definita. Solitamente non subiscono grosse variazioni sostanziali. Mi capita di scrivere alcune frasi o concetti che ho in mente, per poi rielaborare il tutto con la dovuta ispirazione”.

Da Fingere di Essere, secondo Lp dei Sinezamia del 2019 al singolo, fresco di pubblicazione, Vanità: potremmo considerare questa canzone, questo singolo – anche dal punto di vista delle tematiche, dell’approccio – come una sorta di raccordo tra l’ultimo disco di inediti e il nuovo album, intitolato Distanze?
“Assolutamente no. In Fingere di essere ho volutamente scrivere poco (a livello di testi) in quanto si voleva andare verso una direzione a cui non credevo molto. All’interno della band, qualcuno riteneva che dovessimo staccarci dal filone dark/rock/wave per un sound più rock, più hard. Era un disco figlio di anni di composizioni, scontri, clima tesi tra di noi e quindi lasciai fare. Non è un caso che il chitarrista lasciò la band al termine delle registrazioni, lasciandoci un disco che non mi rappresentava. Faccio fatica a cantare pezzi non scritti da me, senza seguire le mie metriche, visioni e modo di esprimermi. Quel disco purtroppo, a causa anche di una sciagurata esperienza con una fantomatica etichetta discografica, fu promosso e distribuito malissimo, con poche recensioni e scarsa visibilità. Poi l’arrivo del Covid dopo 6 mesi dalla pubblicazione ha praticamente fermato tutto. Distanze lo reputo più una congiunzione con il primo album La fuga con un sound che si avvicina maggiormente. Non è un caso che nella nostra scaletta per i concerti futuri, ci siano molti brani del primo album ed una manciata del secondo. Ed anche le tematiche affrontate si abbracciano molto bene tra loro”.