Zenatti: “Infierì con crudeltà cercando di incolpare la moglie”

MANTOVA «La particolare insensibilità e brutale spietatezza dimostrata dall’imputato nell’infiggere sofferenza alla vittima è indice di un’indole dello stesso spiccatamente violenta ed efferata. Il suo comportamento processuale inoltre, infarcito di falsità nel sostenere fatti inverosimili, non è stato certamente leale, segnatamente non solo in relazione ai famigerati 15mila euro in contanti da lui asseritamente lasciati in casa della vittima ma anche e soprattutto in riferimento al tentativo di gettare senza indugi ombre sulla condotta della propria moglie nonché figlia della vittima». Questi in estrema sintesi i passaggi principali delle motivazioni con cui la Corte di Cassazione, ritenendolo infondato, ha rigettato il ricorso su sedici punti presentato dai legali di Enrico Zenatti confermandone quindi in via definitiva la condanna all’ergastolo per l’assassinio della suocera Anna Turina, ammazzata a 73 anni nella propria abitazione il 9 dicembre 2021 a Malavicina di Roverbella. Un verdetto quello emesso lo scorso ottobre dagli “ermellini”, che di fatto aveva apposto la parola fine alle speranze di revisione del “fine pena mai”, così come da impugnazione avverso la sentenza d’appello presentata dagli avvocati Silvia Salvato e Andrea Pongiluppi sulla scorta di ritenute «controversie probatorie, tra cui il mancato ritrovamento dell’arma del delitto nonché un movente del tutto congetturale». Dubbi difensivi a cui si era aggrappato anche lo stesso 57enne ex agricoltore veronese secondo cui «il responsabile fosse da individuare altrove», appurato che quella sera, nella villetta di Largo Puccini, ci fossero oltre a lui altre due persone: l’ormai ex moglie Mara Savoia e l’allora cognato Paolo Savoia, entrambi parti civili con l’avvocato Massimo Martini e per i quali la Corte d’Assise di via Poma aveva disposto un risarcimento da 400mila euro ciascuno. Un impianto accusatorio che aveva dunque retto in tutte le sedi processuali con l’imputazione dell’omicidio perpetrato in due tempi poggiante su ben due aggravanti da ergastolo: la crudeltà e il cosiddetto “nesso teleologico” tra i due momenti delittuosi, contrariamente a quanto contestato dalla difesa, non ritenuti in continuazione tra loro («il primo reato frutto di dolo d’impeto, il secondo sorto soltanto dopo che l’imputato si era reso conto che la vittima non era deceduta»). In sostanza Zenatti, al culmine di una lite e incattivito per un prestito da 15mila euro non concessogli, risalendo le scale dopo essere stati insieme in cantina, aveva assalito la suocera da dietro, colpendola alla testa con un’arma bianca con conseguente ampio scollamento del cuoio capelluto dalla teca cranica tramite trazione dello stesso. Convinto quindi di averla uccisa, stante la temporanea perdita di conoscenza della pensionata, l’aveva così lasciata in un lago di sangue sul pianerottolo tra le due rampe, abbandonando la scena del crimine e cercando infine di crearsi un alibi. Salvo poi, ritornarvi dopo circa un’ora in quanto avvisato dalla moglie che la suocera, nel frattempo ripresasi, sarebbe rimasta ferita cadendo accidentalmente dalle scale. Così, giunto nell’abitazione prima dell’arrivo del 118 e fatti allontanare i figli dell’anziana (il cognato invitato ad andare ad avvisare nuovamente i soccorsi perché “lì dentro il telefono non prendeva” e la coniuge sollecitata ad andare in bagno a prendere asciugamani per poter tamponare la ferita al capo della madre, rimanendo di fatto solo con lei), finendo il “lavoro ” infliggendole in una manciata di secondi sei profondi tagli interni (cosiddette codette) da lama sul collo. Solo in seguito si era allontanato in auto per andare a chiudere il proprio negozio e nel frattempo sbarazzarsi dell’arma utilizzata, un coltello dalla lama affilata e non seghettata facilmente occultabile, mai però ritrovato.