MANTOVA – La voce è serena anche se comprensibilmente provata dopo quasi un mese di sballottamenti tra pronti soccorso e ospedali. “Ma ora mi sento bene” racconta Graziano Fanelli, celebre deejay di Radio Studio Più, orinario di Acquafredda ma nativo di Castel Goffredo, dove nel 1983 iniziava a far girare i dischi dello storico “Sayonara”, tra i tanti pazienti ad essere stati ricoverati in ospedale dopo aver contratto il Coronavirus. All’ospedale civile di Brescia ci era arrivato stremato il 27 febbraio, dopo cinque giorni con una febbre che andava e veniva. “Non so come ho contratto il virus, ma ammetto di avere avuto un po’ di paura, specie nei primi momenti” rivela oggi che è tornato a casa dove sta terminando l’isolamento in un appartamento vicino all’abitazione della moglie Sabrina, a sua volta costretta ad una quarantena forzata. Tutto nasce da qualche linea di febbre, lo scorso 19 febbraio, e si trascina fino al 26, quando insieme a sua moglie raggiunge il Pronto soccorso di Desenzano. «Durante l’accesso vengo sottoposto agli accertamenti necessari e mi viene diagnosticata una polmonite, così decidono di farmi il tampone». E alla sera successiva si ritrova ricoverato nel reparto di malattie infettive dell’ospedale di Brescia, quando ormai la sua condizione clinica era peggiorata. «L’esito del tampone è positivo: ho il Covid-19. Ammetto sia stato un piccolo shock. La febbre alta non mi permetteva nemmeno di scendere dal letto e quando finalmente è finita sono cominciati i problemi con i polmoni».
Come ha vissuto quei quindici giorni in reparto tra tubi e mascherina per l’ossigeno?
«Là sei solo, nessuno dei tuoi cari può venire a vederti. La sensazione era quella dei primi giorni di naja, anche se le differenze erano evidenti. L’unico collegamento che mi era rimasto col mondo esterno era il cellulare, dove quando potevo facevo le videochiamate con la mia famiglia».
So che ha stretto delle belle amicizie durante i giorni di ospedale.
«Sì, con il mio compagno di stanza Armido Tremaschi, un signore che lavora sulle ambulanze, che successivamente è trasferito in terapia intensiva. Mi ha aiutato tantissimo nei primi giorni e spero di rivederlo presto. E poi con Roberto Leali, anch’esso ricoverato accanto a me».
In quei giorni ha visto altri compagni di stanza guarire, ma qualcuno, purtroppo, non ce l’ha fatta.
«Era un signore di 89 anni, che, come mi aveva detto la figlia, fino a qualche giorno prima di entrare in ospedale guidava tranquillamente l’auto e andava dappertutto in piena autonomia. Ecco, trovo inaccettabile quando sento qualcuno che minimizza sulle morte delle persone più anziane, i quali sono spesso costretti a trascorrere gli ultimi giorni di vita da soli».
Come si sconfigge questo dannato virus?
«L’importante è non buttarsi giù. Capisco non sia facile, ma bisogna avere fiducia nei medici e pensare positivo, perché l’umore è fondamentale»
Diceva di medici e infermieri: sono stati loro i suoi “angeli custodi”?
«Non mi stancherò mai di ringraziarli. Dal mio medico di base Daniele Parolini, al primario Emanuele Focà fino a tutto il personale medico-sanitario che mi ha assistito posso dire di aver incontrato persone straordinarie».
È vero che quando tutto questo incubo sarà finito organizzerà una festa in loro onore?
«Mi hanno fatto coraggio in quei giorni interminabili, e mi piacerebbe ci ritrovassimo per una serata all’insegna della musica e della spensieratezza».
Matteo Vincenzi