MANTOVA «Comune o Parlamento? Se potessi, sceglierei ancóra la città». È questa la riflessione del sindaco Mattia Palazzi che, dopo dieci anni in via Roma si appresta ad affrontare il suo ultimo step di mandato amministrativo nel 2025. Saranno circa dieci mesi, prima di entrare nel cosiddetto “semestre bianco” che porterà a nuove elezioni comunali nella primavera del 2026, nella ad oggi difficile probabilità che ai sindaci dei capoluoghi venga concesso un terzo mandato.
Ma per Mattia Palazzi non si tratta di fare lasciti “testamentarî”. All’attivo porta molte realizzazioni che giustificano in larga misura l’esito plebiscitario della sua rielezione a sindaco nel settembre 2020. Nell’intervista di fine anno il sindaco mostra di avere ancóra progetti in serbo, e pure qualche proverbiale sassolino da togliersi nelle scarpe.
Sindaco, lei sta uscendo dal decennio di governo della città. Cosa trova oggi rispetto ad allora, al 2015?
«Trovo una città profondamente cambiata e che cresce, con oltre 1.600 nuovi posti di lavoro, con i nidi comunali gratis per tutti, con Palazzo Te che fa di media 100mila ingressi all’anno in più dei cinque anni precedenti, con il doppio degli alberi, con decine di chilometri in più di ciclabili, con una nuova piazza, un nuovo grande Parco urbano, scuole nuove, più alberghi e molti più servizi ai cittadini, dal welfare alle scuole. E tra poco partono due infrastrutture che attendiamo da una vita, i sottopassi di porta Cerese e Gambarara. Abbiamo messo a terra in nove bilanci più di 200 milioni di investimenti, oltre il 70% di risorse ottenute da fuori. Senza, sarebbe stato impossibile. Dieci anni fa, candidandomi la prima volta, dissi che il mio impegno principale, dal cui esito sarebbe dipeso tutto il resto, era di andare a prendere le risorse dove ci sono. I numeri dicono che così è stato, e poiché manca ancóra più di un anno alla fine del mandato, intendo cercarne delle altre».
I tagli del governo agli enti locali sembrerebbero ben compensati dalle misure adottate dalla sua giunta nella manovra 2025. Prefigura comunque sofferenze di bilancio?
«Non è così, visto che non abbiamo aumentato di un solo euro le tasse o le rette ai mantovani, e lo Stato ci ha tagliato 800mila euro di spesa corrente. I numeri sono chiari. Peraltro pensavo che i tagli ai Comuni almeno avrebbero portato il governo a emanare misure vere a sostegno delle imprese e delle famiglie; invece la finanziaria che hanno approvato non è né carne né pesce, a meno ché l’aumento di 3 euro alle pensioni minime non vogliamo considerarla una cosa seria».
Il ricorso ai mutui, mai da lei praticato in misura tanto consistente, potrebbe però pregiudicare l’operatività delle future amministrazioni della città?
«Credo sia bene dire una parola di verità su questo tema. Io ho iniziato a fare il sindaco avendo sulla testa un’operazione scellerata fatta dal centrodestra che scaricava sul Comune 15 milioni di euro di debiti della società Valdaro Spa. Una scelta politicamente grave oltre che non corretta per i principî contabili. La facemmo saltare, e oggi senza un solo euro dei mantovani abbiamo risanato la società, venduto le aree e insediato imprese, tra cui Adidas, per 1.600 nuovi posti di lavoro al 2026. Ottocento già assunti. I mutui sono cattivi se si fanno per pagare debiti; sono buoni se si fanno per opere pubbliche che peraltro riducono i costi annuali di manutenzione e gestione. Su Mantova Hub, a fronte di quasi 40 milioni di investimenti, come Comune ne mettiamo 4. L’altro mutuo è sulla nuova scuola di Borgochiesanuova: chiudiamo tre scuole vecchie e costose sia in riscaldamento che in manutenzioni, per farne una nuova, efficiente, che durerà decennî. È una scelta di buona amministrazione e di buon uso delle risorse pubbliche. Infine l’altro mutuo è stato fatto per lo stadio, a interessi zero, senza il quale oggi il Mantova non giocherebbe nella sua città. Sulle politiche di bilancio sono pronto a confrontarmi pubblicamente con chiunque: conosco ogni capitolo e l’impatto economico di ogni scelta. Lo dico perché da sempre penso che i numeri siano politica e la politica fatta senza i numeri, che sono la ricaduta materiale delle scelte, sia solo un esercizio di retorica».
Ci sono spese correnti e spese per investimenti. Quali sono le maggiori voci di investimento del 2025, e quali quelle che avrebbe voluto mettere a bilancio, ma che finanziariamente non può?
«Sono interventi sulle scuole e sugli asfalti e naturalmente gli ultimi stralci delle opere finanziate dal Pnrr, come i due sottopassi ciclopedonali di Te Brunetti. A bilancio avrei voluto mettere risorse per prendere all’asta le palazzine private e abbandonate di via Donati e recuperarle per darle a giovani coppie e giovani lavoratori come abbiamo fatto a Borgochiesanuova. Ma si tratta di circa 8/10 milioni di euro ed è impossibile senza un altro bando ministeriale come quello vinto per Borgochiesanuova. Ma sto insistendo con il ministro Salvini perché con poche risorse per lo Stato si farebbe qualcosa di concreto sul tema casa-giovani. Un paese che non vede che questa è una priorità, per me è destinato a vedere andar altrove il proprio futuro».
Mantova ha superato sulla carta i 50mila abitanti, ma lo si deve soprattutto a un apporto straniero fra i più alti della Lombardia, e spesso problematico. Che politica intende mettere in campo, specie sul fronte della sicurezza civica?
«I dati dicono diversamente, basti pensare che dei 140 nuovi residenti giovani, grazie alla nostre misure di incentivi sugli affitti per la residenza e Borgochiesanuova, oltre l’85% sono ragazzi italiani. Dopodiché mi si deve spiegare perché mai dovrebbe essere un problema se famiglie e lavoratori non nati in Italia, ma che qui lavorano, diventano cittadini mantovani pagando le tasse e contribuendo al welfare di tutti. Cosa c’entra questo col tema della sicurezza? Nulla. O si pensi alle badanti che assistono i nostri anziani: sono un tema di sicurezza? O lo sono i lavoratori della logistica? O coloro grazie ai quali i prodotti delle nostre terre arrivano sulle nostre tavole? Il tema della sicurezza è ben altra cosa e siccome è un tema serio non va fatto un minestrone di cose completamente diverse. Io sono il sindaco che ha messo in nove anni 850 nuove telecamere di videosorveglianza, che ha assunto 20 nuovi agenti. Prima di noi gli agenti di Polizia locale la sera erano in servizio esterno solo il fine settimana; adesso ogni giorno fino all’una di notte. Per me la sicurezza è un diritto, che va garantito. Dopodiché tutti conoscono quali sono i poteri dei sindaci su questo tema e quali sono i doveri dello Stato, rispetto al quale, e se ne parla troppo poco, va sottolineata la cronica carenza di organico delle forze di Polizia e ordine pubblico. Nelle città servono più agenti, ed è un tema che stiamo ponendo con diversi sindaci di diverso colore politico perché tutti, da Treviso a Ferrara o a Modena, abbiamo visto crescere da alcuni anni fenomeni di spaccio e aggressività nelle città».
Case e lavoro hanno ricevuto una grande svolta positiva dalla sua azione di governo. Ha ancóra qualche asso nella manica? Può anticiparceli?
«Sì, ne avremmo. L’ho accennato prima parlando delle case abbandonate private di via Donati. È un esempio».
Lei sarà ricordato come il sindaco che ha dato una svolta positiva alla gran parte dei problemi enormi ereditati dai suoi predecessori (Podestà, Fiera Catena, piazzale Mondadori, Valdaro Spa, stadio Martelli, e altri). Ma qualcuno ne lascerà anche lei ai successori: per esempio, come pensa che possa risolversi il nodo della Torre della Gabbia?
«Non lascerò un problema, semmai un edificio storico recuperato. Vede, quando la giunta Sodano giustamente chiese le risorse post-sisma per la Torre della Gabbia, la Regione le diede chiedendone la valorizzazione e fruizione pubblica. Ci stiamo muovendo su quell’indirizzo, doverosamente. Io credo che sia possibile, con buon senso e giudizio, fare il bene della città, riaprendola, come peraltro il suo giornale ha sempre sostenuto. La Voce ha sempre sostenuto questa operazione, ne va dato atto».
Il sottopasso di piazza Don Leoni sembra cronicizzarsi nella paralisi dei lavori, e si teme per gli altri due sottopassi in capo a Rfi di Porta Cerese e Gambarara. Pensa di poter dire qualcosa di rassicurante?
«Su piazza Don Leoni sono il primo a essere arrabbiato e ho manifestato più volte a Rfi che non era accettabile una gestione del cantiere così prolungata e in affanno. Alcuni mesi fa Rfi ha cambiato i responsabili dell’opera ed è cambiato il ritmo dei lavori e il coordinamento degli stessi. Ma sicuramente non giudico positivamente quanto avvenuto. Rispetto a Porta Cerese e a Gambarara ci lavoriamo da quattro anni con un team congiunto su ogni dettaglio. Molte opere fondamentali su Porta Cerese sono già partite e si sono svolte bene, sui sottoservizî. Se mi chiede se ci saranno disagi, le rispondo che certamente ci saranno: è un’opera complessa e grande. Ma l’alternativa è non farla per altri cinquant’anni, e magari iniziare il dibattito che ha riempito per decennî i quotidiani locali su quanto sono dannosi per la città quei passaggi a livello. Bisogna avere il coraggio di decidere, viceversa la politica è solo “sabbie mobili”, e Mantova ha già ampiamente dato in tal senso. Quantomeno a mio parere».
Una domanda che si pongono in tanti: come mai Tea, che gode di enormi liquidità ed extraprofitti, non riceve input dal socio di maggioranza, cioè dal suo Comune, per calmierare le bollette?
«Veramente è stata l’unica società pubblica, tre anni fa, a redistribuirli totalmente ai mantovani serviti dal teleriscaldamento, perché gli extraprofitti erano generati dal teleriscaldamento con l’aumento dei prezzi del gas. Lo avete scritto anche voi, così come diversi quotidiani nazionali. Ma quelli che chiamano extraprofitti non si generano ogni anno, per fortuna, anche perché vorrebbe dire instabilità permanente dei prezzi a solo vantaggio della speculazione finanziaria sui mercati».
Leggi e pandemia le hanno concesso un anno di mandato in più, ma sembrerebbe improbabile la “regalìa” di un terzo mandato. Forse non dipende da lei, ma avrebbe qualche preferenza sulla individuazione del suo successore? Se non il nome, può tracciarne almeno l’identikit operativo?
«Quella che lei chiama “regalìa” io la chiamo democrazia, perché solo in Italia e in Polonia, i cittadini non sono liberi di votare chi vogliono e per quanti mandati vogliono. E casualmente questo accade solo per i sindaci, mentre parlamentari, assessori ecc. possono fare quanti mandati vogliono, anche se non votati direttamente. Ci fosse una classe politica minimamente coerente, farebbe quantomeno collegi più piccoli e con le preferenze. Almeno un cittadino sceglie davvero chi vuole che lo rappresenti in Parlamento. Ciò detto dirò la mia sul “dopo” a tempo debito, prima parlando con la coalizione e poi anche pubblicamente. Ma su una cosa mi sento sereno: in questi anni abbiamo dimostrato di saper far crescere e tenere insieme una squadra di lavoro larga, capace anche di rinnovarsi. Abbiamo fatto crescere parte di una nuova classe dirigente, e per la città questo è importante, e consente di guardare in avanti, con fiducia».
Da ultimo, sindaco, un messaggio per il nuovo anno ai suoi sostenitori, e uno ai suoi avversarî.
«Agli avversarî chiedo di criticare come è giusto che sia, ma di non dire sempre “no” a tutto, perché non si costruisce nulla con i soli “no”. Ai sostenitori chiedo di lavorare per fare sempre meglio, con la stessa determinazione e senza perdere mai la voglia di imparare da chi è più avanti e più bravo di noi. A tutti noi, a tutti i mantovani chiedo di voler bene alla nostra città».