Michele Campanella e Gianna Fratta al Filarmonico di Verona

VERONA Imponenza e suggestioni è il titolo del prossimo concerto sinfonico nell’autunno di Fondazione Arena, atteso il prossimo al Teatro Filarmonico di Verona. Sabato 14 novembre alle ore 17, il monumentale Quinto concerto per pianoforte e orchestra “Imperatore” di Beethoven apre il programma, eseguito da Michele Campanella e Gianna Fratta per la prima volta sul podio della compagine veronese . Nella seconda parte del pomeriggio, protagonisti saranno i paesaggi nordici e romantici della Terza sinfonia “Scozzese” di Mendelssohn. Contemporanea a quella prova generale per la Nona che fu la singolare Fantasia per pianoforte, soli, coro e orchestra op.80, l’op. 83 segna il congedo di Beethoven dal genere del Concerto per pianoforte e orchestra. Scritto probabilmente nella primavera del 1809, mentre l’esercito francese assediava Vienna, l’Imperatore non intendeva certo omaggiare l’ormai nemico Napoleone (la dedica reale è all’Arciduca Rodolfo d’Austria): si deve il soprannome spurio ma di successo al pianista ed editore Cramer, forse in riferimento alle imponenti proporzioni dell’opera, ai toni militareschi degli interventi orchestrali e alla medesima tonalità di Mi bemolle maggiore che contraddistingueva l’ormai celebre sinfonia “eroica”. La prima esecuzione a Lipsia nel 1811 fu un trionfo, non eguagliato a Vienna (solista Czerny) ma presto replicato e tuttora ininterrotto. La popolarità del Quinto concerto è dovuta all’originalità della forma, al trattamento dei temi non meramente virtuosistico, all’ampio respiro dell’architettura: sin dall’inizio il pianoforte dialoga con l’orchestra esplorando tutte le altezze possibili dello strumento, e dopo il primo tema marziale attende i corni per una seconda più intima atmosfera, aprendo a un lungo e articolato sviluppo. Il concerto si apre e si chiude nella tonalità di impianto ma attraversa anche l’armonicamente lontana Si maggiore in cui è scritto in forma di Romanza lo struggente movimento centrale. Senza cadenza, l’ultima invenzione melodica diventa protagonista del tempo conclusivo, da attaccare senza soluzione di continuità all’esplosivo Rondò finale: ulteriore originale innovazione di Beethoven che non mancò di attirare la curiosità dei contemporanei e aprì la strada ad altri fulgidi successivi esempi, come quello di Schumann. La mancanza di interruzioni tra un movimento e l’altro era anche il desiderio di Felix Mendelssohn-Bartholdy (1809-1847) per la sua ultima Sinfonia in la minore, un ideale viaggio immersivo nato dalle suggestioni di un giovanile viaggio in Scozia, talmente forti da permeare la composizione avvenuta ben tredici anni dopo, fino alla prima esecuzione nel 1842 (dedicataria la Regina Vittoria). Per una storica anomalia editoriale, la Scozzese reca però il numero 3 tra le cinque sinfonie di Mendelssohn, che si confrontò con l’ormai canonico esempio beethoveniano per trovare qui il proprio frutto più maturo e romantico nel genere. La sinfonia è strutturata in quattro movimenti: il primo Allegro è introdotto da un dolente canto più lento che è già paesaggio sonoro; i temi non sono folklorici ma l’autore è riuscito ad imprimervi un’atmosfera che suona come inconfondibilmente “scozzese” grazie all’originalità melodica e alla peculiare orchestrazione. Il fluttuante Scherzo, sorta di danza popolare, si trova in seconda posizione, mentre il successivo Adagio unisce abilità coloristiche ed evocazioni più cupe impresse in Mendelssohn dai luoghi di Maria Stuarda visitati da giovane. L’inquieto Vivacissimo finale sorprende l’ascoltatore con una inattesa coda, in cui si abbandonano i ritmi frenetici in favore di un trascinante inno conclusivo.
Elide Bergamaschi