VERONA Al Teatro Filarmonico di Verona, venerdì 22 aprile alle ore 20 – in replica sabato 23 alle ore 17 – il virtuosismo demoniaco di Paganini si confronta col misterioso equilibrio della Quarta sinfonia beethoveniana. Il programma, tra primo Romanticismo e ultime luci del Classicismo, è affidato a due artisti di prestigio internazionale al loro esordio veronese. Dopo essere salito sul podio di alcuni fra i più importanti teatri d’opera del mondo, dal Maggio Fiorentino al Metropolitan di New York, da Dresda, Monaco e Berlino a Tokyo, il maestro romano Pietro Rizzo, molto attivo anche in ambito concertistico, debutta alla guida dell’Orchestra della Fondazione Arena di Verona con un programma sinfonico dedicato al primo Ottocento. Pressoché contemporanei eppure diversissimi, Beethoven e Paganini si confrontano nel 6° appuntamento della Stagione 2022 con alcune sorprese. La prima di esse è la scelta di eseguire il celebre Concerto n. 1 per violino e orchestra di Niccolò Paganini (1782-1840) nella tonalità originale prevista dall’autore, il Mi♭ maggiore. Una scelta che richiede una particolare “scordatura” al violino solista d’intesa con l’orchestra per raggiungere sonorità all’epoca inedite e virtuosismi tuttora difficili da gestire, tanto che, dopo la prima esecuzione nel 1815, l’opera si diffuse nella più agevole tonalità di Re maggiore, fino ad oggi la più eseguita e incisa. Protagonista assoluto è il giovane franco-russo Fedor Rudin, nemmeno trentenne, già vincitore dei premi Paganini, Enescu e Gitlis e primo violino degli aurei Wiener Philharmoniker diretto dai più grandi maestri, anch’egli per la prima volta a Verona con la voce del suo prezioso Storioni 1779. Fondazione Arena prosegue quindi l’integrale delle Sinfonie di Ludwig van Beethoven (1770-1827) sulla scia del 250° anniversario: in questa stagione hanno particolare risalto le opere più neoclassiche, che risentono dell’influenza di Haydn, maestro della forma-sonata e dello stesso genio di Bonn. Vi occupa un posto speciale la Sinfonia n. 4 in Si♭ maggiore, concepita rapidamente nel 1806 su commissione del Conte von Oppersdorf, durante la lunga gestazione della ben più rivoluzionaria Quinta. Il clima tempestosamente romantico di questa in do minore e della Terza “Eroica” fece descrivere a Schumann la Quarta sinfonia come “una snella fanciulla greca fra due giganti nordici”: una definizione che coglie la grazia e la forza originale dell’opera, particolarmente amata da grandi direttori d’orchestra, Carlos Kleiber in testa. L’introduzione lenta è più che mai misteriosa e funge da sipario al successivo Allegro vivace, ricco di invenzioni sullo stesso materiale tematico e sapientemente teso in una narrazione tipica del suo autore. Il secondo tempo, Adagio, è fra le più alte pagine di composta tenerezza di Beethoven, mentre il vivace Scherzo e il complesso Finale confermano l’incontenibile energia, quasi un invito alla danza, e un percorso di sperimentazione timbrica che, con il rilievo dato a legni e percussioni, funse da studio ideale per la Pastorale e la Settima.
Elide Bergamaschi