MANTOVA A 75 anni non ancora compiuti si è spento nella notte fra sabato e ieri l’ingegnere Paolo Rabitti, colui che può essere considerato un pilastro dell’ambientalismo mantovano, sia sul versante scientifico che della politica “green” militante.
Originario di Poggio Rusco, dove era nato nel 1950, figlio del medico condotto del paese che certo gli instillò il senso dell’ambiente quale percorso sanitario obbligato da perseguire in seguito a 360 gradi per il bene comune. Laureatosi a Padova in ingegneria civile sotto la guida dell’illustre concittadino Bruno Dall’Aglio, Rabitti inaugurò la propria stagione professionale mantovana non senza guardare agli obiettivi ambientalisti che lo avrebbero portato in seguito a conseguire un secondo diploma in ingegneria ambientale negli anni ’90. Il tutto a latere di un impegno che lo vide militante nei movimenti ambientalisti locali e nazionali. Punto di riferimento di Legambiente (quando ancora era definita per esteso Lega per l’ambiente”), Rabitti divenne agli inizi degli anni ’90 un punto di riferimento per alcune battaglie ingaggiate in difesa dell’ecumene virgiliano, che col tempo finirono addirittura per procurargli screzi con altri esponenti dell’ambientalismo militante: una perizia, commissionatagli da un’amministrazione locale, finì addirittura per creare un “caso”, dietro l’accusa infondata di conflitto di interessi, sfociata nel suo abbandono dell’associazione. Intransigente, e quasi rigido assertore della missione salutista, Rabitti non ammetteva atteggiamenti “talebani” che potessero minare la sua integrità professionale o scientifica.
Una credenziale che Rabitti si era meritata nel 1993, quando prese posizione squadernando ciò che sarebbe diventato nelle cronache il “caso Cime”, connesso con le discariche mantovane e il business dei rifiuti, e culminato con alcune condanne – particolarmente quelle legate alla discarica di Monzambano.
Da lì la sua amarezza per i mancati riconoscimenti, ma anche la voglia di riscatto ottenuta con la seconda laurea specializzata in ingegneria ambientale e con i seguenti incarichi universitari presso l’università di Padova.
Risale all’ultimo scorcio degli anni ’90 la sua collaborazione a quattro mani con il procuratore Felice Casson e la procura di Venezia sui danni ambientali nel polo chimico di Marghera, mentre contestualmente monitorava quelli prodotti nel mantovano o nell’area critica di Seveso, devastata dalle diossine, e diventate pure oggetto di pubblicazioni per importanti imprese editoriali nazionali.
Nemmeno rimase estraneo il suo contributo a quello della moglie Gloria Costani, oggi consigliere comunale ambientalista in Comune, circa l’anomala insorgenza di tumori alle parti molli nel comprensorio del petrolchimico virgiliano. studi editi da Feltrinelli Tutti interventi che influirono anche sulle sue prese di posizione assunte pubblicamente per contrastare anche certi piani attuativi, come quello di Lagocastello, quando Rabitti scese in campo pubblicamente a sostegno della candidata sindaco Fiorenza Brioni contro quel piano che avrebbe consentito di edificare la ponda del lago Inferiore a ridosso del polo industriale.
Numerosi gli atti di contrasto che Rabitti ebbe a subire nel corso del suo impegno ambientalista: passiamo dalle intrusioni con scasso nel suo studio professionale di via Cocastelli sino al furto dei pc e del suo archivio informatico nella propria residenza di Borgo Angeli, che presumibilmente conteneva dati “scottanti” di tante inchieste.
Ormai riconosciuto professionalmente in ambito nazionale, l’ingegnere Rabitti ha avuto lo scorso anno un ultimo momento di attenzione mediatica quando ha assunto l’incarico di produrre perizie tecniche nella tesi difensiva di Olindo Romano e Rosa Bazzi, condannati all’ergastolo in via definitiva per la “strage di Erba”, ma per i quali la Corte d’appello aveva chiesto approfondimenti. Anche in quella circostanza Rabitti si spese portando, a contrasto dei dati processuali, le sue evidenze scientifiche.
Nessuna sede giurisdizionale gli ha dato ragione. Tutte le cause contro i colossi della chimica sono state per lui una sconfitta. Persino quella sulla strage di Erba. Ma le sconfitte in tribunale non sono le sconfitte delle idee, dove Rabitti, a conti fatti, è sempre risultato vincitore.