Gli sguardi di don Berselli. E sussurravano: è il Pievano!

Uno sguardo che ti fulminava, quello di don Costante Berselli. Ti faceva, come si dice, una specie di radiografia con un’occhiata. Don Costante che si presentava con ironia come “Don Scostante”, ma sempre con verve. Come i lettori de la Voce di Mantova sanno bene abbiamo pensato di fare un libro ricordo di un prete protagonista della vita culturale e religiosa di Mantova, della provincia, della nazione e financo fuori. Don Costante Berselli, l’avventura di una vita.

Delle sue occhiate ho dei ricordi precisi e illuminanti, gli sguardi di don Berselli illuminano anche oggi a 30 anni dalla morte che cade il 7 ottobre, i precisi ricordi de Il Pievano, cioè del personaggio letterario e giornalistico che ha creato come pseudonimo, come nom de plume, per tratteggiare personaggi, per trattare problemi, per raccontare storie di Storia. Per me tutto cominciò un giorno di fine agosto del 1980. Non avevo ancora vent’anni, per l’esattezza 19 e 8 mesi, ché a quell’età lì anche un mese fa la differenza, e per il giornale mi divertivo a scrivere da collaborare esterno, su argomenti di attualità varia: spaziavo, spaziavo molto, dall’agricoltura alla scuola, dalle tradizioni popolari alla religione. Non c’era un giornalista fisso che seguisse riti religiosi e religione e quindi mi intrufolai. C’era in quel periodo la rituale Settimana Pastorale della Chiesa Mantovana che riuniva, e ancor oggi riunisce, i parroci, i sacerdoti, presbiteri impegnati in attività sociali e pastorali, laici impegnati nel servizio per organizzazioni sociali e comunità, testimoni e animatori. Tutti insieme a parlare e riflettere di fede e impegno nell’aula magna del seminario vescovile in via Fratelli Cairoli. Un evento culturale e a suo modo politico per la provincia mantovana non solo per la diocesi.

Si dà il caso che in quei tempi il giornale ospitasse spesso note e studi, riflessioni e commenti a firma de “Il Pievano” anche sul mondo della chiesa e della fede. E dandosi il caso che le note de “Il Pievano” erano spesso croccanti e stringenti, saporite e pepate, la curiosità di sapere chi fosse davvero il Pievano aumentava non solo tra i lettori ma anche fra i confratelli del Pievano, cioè i preti che venivano alla Settimana per discutere di liturgia, testimonianza, sacramenti e diffusione del Vangelo.

Così un giorno di fine agosto 1980 accanto alle cronache regolarmente firmate da cronista proposi una lettera aperta in cui mi divertivo a raccontare che nei corridoi del seminario e tra le file delle poltrone dell’aula magna c’era chi, prima o dopo l’intervento dell’allora vescovo Carlo Ferrari, si domandava “Insomma, chi è Il Pievano?”

Trovo questo incipit molto personale che segna una svolta importante per la mia passione giornalistica come introduzione opportuna e necessaria alla mia riflessione- ricordo su don Costante Berselli, a trent’anni dalla morte avvenuta il 7 ottobre 1994. Perché conobbi don Berselli senza conoscerlo subito di persona, perché mi piace ricordare che conobbi il prete scomodo, il prete partigiano e internato, il prete che subì un processo rotale senza mai arrivare a soluzione di sentenza, il prete che aveva trovato le ossa di Isabella d’Este attraverso uno pseudonimo, un nom de plume come si dice in gergo. Il Pievano, chi era, chi è dunque costui?!

Anni dopo, molti anni dopo, don Costante Berselli mi chiese, lusingandomi non poco, un breve scritto a suggello del suo libro, uno dei tanti e tutti parecchio rilevanti, dedicato alla storia di Mantova. Uno straordinario compendio preciso e scrupoloso, fisico e spirituale. Correva l’anno 1991. Ora che raccolgo appunti documenti e citazioni mi rendo conto che già nel 1980, in quel fine agosto da indagatore dell’identità e delle future mosse del Pievano, scrivevo parole molto simili a quelle che avrei usato 12 anni dopo, una volta conosciuto il Pievano per nome e cognome.

Don Costante passava qualche volta al giornale nel grande androne fresco d’estate quanto freddo d’inverno, dove sbucavano le porte principali del giornale: quella della direzione e notiziario, il corridoio Bulbarelli, la porta della tipografia fotocomposizione e il portone dello stanzone della cronaca. Non veniva quasi mai in cronaca, almeno fino a quando rimasi al giornale prima di partire per Roma, e i materiali che servivano a Marco Mantovani per fare quei lungimiranti paginoni di cultura e società ideati da Costante Berselli arrivavano dalla direzione.  Un giorno lo incrociai in quell’androne, con una borsa credo di carta plasticata e dentro c’erano l’articolo e le foto e i documenti. Quanto documenti passarono per le mani del don. Sigaretta a fior di labbra e occhi scrutanti: ah quindi lei è Binacchi?! Più che una domanda quella di don Berselli con quel tono era una constatazione segnalante. Guarda di non fare tanto il furbo che so chi sei. E Rino Bulbarelli sogghignava. Era bello quel clima in cui insomma c’era un po’ di segreto sull’autore, sul documento, dalla riservatezza alla sorpresa. Torniamo a quel fatidico agosto 1980, fine della Settimana Pastorale, il Vescovo Ferrari aveva tratto le conclusioni con un intervento di altissimo profilo che io titolai così sul giornale del 30 agosto 1980: “Mons. Ferrari: Non può fallire la proposta globale del Vangelo”. A fianco la lettera a corsivo di colore. “Insomma chi è Il Pievano”. Trovo quelle parole ancora molto croccanti, per non dire moderne, che moderno a volte dice tutto ma altre volte non dice niente.

“Da qualche giorno -scrivevo con baldanza e un po’ di sicumera- i lettori si pongono una sola domanda: chi è il Pievano”. Con una introduzione così, chi poteva resistermi. Ammetto che per non essere stato allora nemmeno praticante e solo un collaboratore pubblicista, avevo una bella faccia tosta, o meglio una mano tosta. E proseguivo: “Dai suoi scritti traspare un’eleganza intellettuale una raffinata cultura che non sono da tutti: a questi due caratteri il Pievano somma la non comune abilità di pungere senza ferire, di rimproverare senza offendere, di cogliere la sua realtà senza trascurare quella degli altri”. Mi meraviglio vieppiù ora a 44 anni di distanza, come avessi potuto esibire per iscritto cotanto equilibrio.  Che storia e che vita quella di don Costante, per me il Pievano.